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Recensione Alice Mado Proverbio: Neuroscienze cognitive della musica Il cervello musicale tra arte e scienza Ed Zanichelli 2019 Pg 211

Leggere questo libro è un po’ come avventurarsi in un viaggio dentro l’universo costituito dai diversi meccanismi cerebrali che caratterizzano l’esperienza sonora nella sua complessità.
L’autrice nei tredici capitoli analizza e argomenta i tanti aspetti del far musica attraverso l’elaborazione che ne fa il nostro cervello.
Il saggio è molto affascinante e mi sento di consigliarne lo studio a chiunque si occupi di musica proprio per l ‘importanza che, nella pratica musicale, ha la conoscenza dei meccanismi neurologici che caratterizzano il fare musica stesso.
In questa recensione ho ridotto al minimo i dati squisitamente tecnici e neuroscentifici rimandando allo studio del libro per una consapevolezza più specifica e dettagliata.
Proprio per la complessità e la grande varietà di dati e ricerche presenti nello scritto, ho pensato di stimolare la curiosità verso il testo proponendo una recensione atipica che permetta al lettore di compiere un percorso random tra le diverse parti del libro.
Proverò ad accennare alcuni temi come in un glossario: ogni lettera sarà l’iniziale di un argomento specifico.

A come Ascolto di musica nel neonato: Gli studi hanno dimostrato che l’ascolto del canto materno ha un effetto tranquillizzante per il neonato: regolarizza il suo respiro e riduce il cortisolo (l’ormone dello stress). La musica in generale diventa un tramite, un “contatto extracorporeo tra genitore e bambino soprattutto nei neonati prematuri che si trovano nell’incubatrice privati delle sensazioni tattili olfattive della mamma”. E’ stato dimostrato che l’ascolto di ninna nanne aumenta l’ossigenazione dei piccoli e migliora lo stato fisiologico ed emotivo generale.

B come benessere: Fare musica da adulti o nella terza età può contribuire a contrastare il declino cognitivo, a riabilitare e ad incrementare il benessere generale della persona riducendo le sintomatologie depressive e migliorando la qualità dell’umore. Fare musica e cantare contribuisce favorisce la socializzazione così come il senso di appartenenza ad una comunità migliorando l’autostima e la capacità di esprimersi emotivamente. “L’esercizio musicale migliora la qualità di vita degli anziani a prescindere dalle specifiche capacità cognitive”.

C come Cervello del musicista: Oggi sappiamo che “lo studio precoce e duraturo di uno strumento musicale può produrre cambiamenti macrostrutturali nel volume di determinate strutture del cervello come: il corpo calloso, la corteccia motoria e uditiva e il cervelletto”. L’adattamento cerebrale allo studio musicale segue tre principi che sono:” l’inizio della formazione musicale da piccoli, il tempo dedicato allo studio di pratiche motorie bimanuali complesse e la conseguente modifica delle rappresentazioni delle mappe motorie”.

D come Direzione dello sguardo dei cointerpreti: La direzione degli sguardi e i movimenti oculari sono certamente i mezzi che i musicisti utilizzano per comunicare un’intenzione durante l’atto performativo. “È stato dimostrato che lo spostamento dello sguardo di un’altra persona sposta automaticamente la nostra attenzione verso il punto fissato da quest’ultima”. Ovviamente anche il corpo come la postura contribuiscono ad orientare l’attenzione di chi guarda e tutto questo accade in modo inconsapevole in quanto abituale comportamento di natura sociale. “Questo dato suggerisce l’estrema importanza dei sistemi di rispecchiamento visuomotorio nella coordinazione sociale dell’azione”.

E come Esecuzione meccanica vs espressiva : Quale può essere sul piano oggettivo la differenza tra un’esecuzione meccanica e una espressiva?
Certamente la capacità dell’interprete di modulare, in modo imprevedibile e personale, l’esecuzione proponendo micro varianti agogiche, dinamiche, timbriche, ritmiche, ecc che possano dilatare o contrarre lo spazio temporale. Tutto questo ambito d’azione restituisce all’ascoltatore un’unicità tipicamente umana tanto quanto emozionante e piacevolmente sorprendente che si differenzia moltissimo da un’esecuzione prodotta da un sintetizzatore. “I risultati mostrano una maggiore risposta delle aree emotive del cervello (sistema limbico e paralibico) in risposta alle dinamiche espressive della performance musicale umana, insieme ad attivazioni legate al piacere provato (sistema neurale della ricompensa).”

F come Film e musica: La musica può connotare positivamente o negativamente un personaggio di un film in relazione al brano a cui viene collegato. Questa potenzialità è fortemente utilizzata nella pubblicità per associare un prodotto ad uno spot in grado di comunicare inconsapevolmente attraverso la musica una sensazione positiva e quindi incrementando la fiducia nel brand specifico. L’utilizzo di colonne sonore diverse su uno stesso cortometraggio ha indotto gli spettatori a categorizzare la sequenza d’immagini in generi diversi dal thriller , commedia, horror, ecc.

G come Gesto musicale: Quando si suona uno strumento sono molti i sistemi cerebrali che si attivano: in primo luogo la corteccia motoria e premotoria per la programmazione del gesto, i sistemi di regolazione del feedback uditivo, visivo e propriocettivo oltre ai sistemi attentivi, di memoria e di codifica delle emozioni. Gli studi dimostrano che la pratica musicale modifica i processi di reazione motoria e tutto ciò accade nel tempo e con lo studio passando dal controllo dell’azione volontario ad automatico e viceversa.

H come silenzioso: Ripassare silenziosamente un brano musicale è una pratica che cantanti e strumentisti praticano spesso sia per memorizzare che per preservare la voce da sforzi intensi. Da studi fatti si è indagato sui meccanismi neurali alla base del canto immaginato e del canto reale osservando come il nostro cervello si attiva in modo molto simile nelle due condizioni. I dati emersi confermano che la simulazione mentale dell’esecuzione contribuisce concretamente all’apprendimento motorio similmente alla pratica effettiva anche se, ovviamente in misura meno efficace.

I come Improvvisazione: Lo studio della pratica improvvisativa musicale da parte dei neuroscienziati ha evidenziato che, oltre alle aree dedicate al movimento del suonare inclusa la vista e il tatto, la corteccia frontale inferiore svolge un ruolo primario nella capacità di ideare sequenze originali musicali e anche linguistiche. In generale la capacità di generare idee nuove è in relazione ad una maggiore connettività funzionale tra la corteccia prefrontale inferiore e le altre regioni corticali incluse nei processi immaginativi.

L come lettura a prima vista: L’efficienza della pratica della lettura a prima vista migliora con l’aumentare dell’expertise del musicista “poiché questo è in grado di trasformare in programmi motori un insieme sempre più grande di note, programmandole in modo globale.” Inoltre la pratica accumulata con il proprio strumento unita all’età d’inizio degli studi musicali possono condizionare le capacità di leggere bene a prima vista.

M come memoria: Le diverse memorie sono tutte componenti indispensabili nella pratica musicale a partire dalla memoria ecoica, iconica, procedurale e dichiarativa semantica per recuperare il ricordo di un testo di un brano vocale. Tutti questi diversi tipi di memorie si basano su meccanismi neurali diversi e questo spiega la ragione per cui i malati di Alzheimer mantengono la capacità di suonare uno strumento anche se hanno perduto la capacità di riconoscere come noti brani musicali che conoscevano da tempo(memoria episodica).

N come neuroni: E’ stato dimostrato che nell’uomo esiste un sistema di neuroni specchio riservato ai suoni del linguaggio “(echo mirro system): quando un individuo ascolta stimoli verbali vi sarebbe un’attivazione automatica dei centri motori responsabili dell’emissione dei fonemi presenti nelle parole ascoltate”. Molti studi hanno ormai dimostrato l’esistenza di sistemi multisensoriali che rispondono in termini di codifica simultanea a peculiarità visive e auditive legate all’azione e neuroni audiovisivi che “codificano congiuntamente gli oggetti e il suono da loro prodotto, di importanza fondamentale per l’apprendimento della musica e la regolazione del feedback sensoriale”.

O come orecchio assoluto: L’orecchio assoluto rappresenta la capacità di distinguere con precisione l’altezza esatta di qualsiasi nota senza prendere nessun riferimento esterno sia ascoltando che immaginando di ascoltare un dato suono. Per ragioni di plasticità corticale l’orecchio assoluto può essere acquisito prima dei sette anni d’età esercitandosi sulla capacità di associare la percezione uditiva al nome preciso della nota. Tutto questo ha necessità di una predisposizione genetica a volte fuori dalla normalità come per esempio nelle persone autistiche o negli idiot savant caratterizzati da straordinarie capacità analitiche, di concentrazione focale e forti tratti d’introversione.

P come plasticità: L’esperienza musicale “promuove la neuroplasticità, aumenta la connettività producendo sinaptogenesi”. Come il linguaggio la musica plasma il sistema nervoso per merito anche della sua componente emotiva. Il cervello risponde molto velocemente all’educazione musicale e in particolare “la risposta corticale somatosensoriale è massima quando l’esordio degli studi musicali avviene durante l’infanzia e diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età di esordio, pur essendo sempre maggiore di quella dei non musicisti.”

Q come quadrato: Cosa accade quando il nostro procedere ritmico è quadrato, cioè esatto, a tempo?
Nela percezione del ritmo interno “dal punto di vista neurale, sono coinvolti il talamo, i gangli della base e il cervelletto”. La capacità che abbiamo di sincronizzare dei movimenti sul ritmo che ascoltiamo è data dalla regolarità che ne estraiamo e alla “capacità di andare a tempo e sentire il ritmo contribuirebbero processi di simulazione di movimento periodico che avrebbero luogo nelle aree di pianificazione motoria: essi fornirebbero un segnale neurale che aiuterebbe il sistema uditivo a prevedere l’occorrenza temporale dei battiti imminenti.”

R come ritmo: Quando ascoltiamo o produciamo musica abbiamo tutti la tendenza a muoverci entrando in sincronia con il ritmo magari con il battito del piede o con l’oscillazione della testa e questo perché esiste uno stretto legame tra circuiti uditivi e circuiti motori.
“Il ritmo stimola il movimento agendo non solo sulla corteccia, ma anche sui gangli della base, deputati all’avvio del movimento, traducendosi in un effetto energizzante per l’umore e stimolante il comportamento prosociale”.

S come studio: Lo studio della musica in età adulta è diverso da quello che avviene in età evolutiva sia per ‘inevitabile declino delle abilità cognitive e motorie e per la capacità di essere pronti e reattivi”. Esiste però la possibilità che il cervello avvii processi compensativi per temperare l’invecchiamento cognitivo. La Riserva Cognitiva si caratterizza con” una serie di fattori che hanno dimostrato di contribuire in modo significativo alla riduzione del rischio di soffrire di demenza: il rendimento scolastico, le capacità intellettuali, le interazioni sociali e le attività del tempo libero”. La pratica musicale in particolare, ricopre un ruolo molto importante in questo contesto.

T come tonalità: La musica è in grado di suscitare in chi l’ascolta perturbazioni emotive diverse.
“La capacità di comprendere un tono emotivo di un frammento musicale mostra molte affinità con quella di comprendere il contenuto emotivo delle vocalizzazioni non verbali (pianti, grida, risate, lamenti, gemiti e versi di apprezzamento, sorpresa, richiami, ecc): alcune regioni cerebrali sono specializzate nel loro riconoscimento, differenziandone chiaramente la valenza (positive vs. negative).”Da studi e ricerche compiute in tal senso si ipotizza l’esistenza di un “sistema innato di estrazione di informazioni acustiche spettrali e di categorizzazione emotiva delle stesse.”

U come uditiva: Ognuno di noi conosce cosa significa avere una musica in testa anche se realmente non l’ascoltiamo…suona dentro di noi e non ci lascia più!
L’immaginazione uditiva involontaria e in assenza di stimolo sensoriale reale si chiama in termini tecnici earworm. Quasi sempre si tratta di un frammento breve in genere ripetitivo “( catchy, sticky, cioè appiccicoso) molto ritmato, spesso accompagnato da un slogan verbale o poche parole, meglio se prive di senso.”

V come voce: Tutti immaginiamo che l’organo deputato al canto sia la laringe ma oggi sappiamo che è il cervello alla base della capacità canora in quanto organo di “controllo dell’esecuzione motoria della voce e della fonazione e di elaborazione del feedback uditivo, apprendimento della capacità di cantare, capacità di percepire i suoni e la musica, comprensione ed espressione del linguaggio “ anche dal punto di vista emotivo. L’eccellenza nel canto include la capacità di controllo della voce di tipo motorio, cognitivo –percettivo ed emotivo oltre la capacità di controllo del feedback, codifica propriocettiva e di attenzione alla sequenza motoria.

Z come zona di confort: Uscire dalla nostra zona di confort musicale vuol dire affrontare le incertezze di un ascolto imprevedibile e privo di aspettative. Ognuno ha il suo quoziente di avventurosità musicale che gli permette di uscire dalla sua zona sicura e, come afferma Levitin una nuova musica è come un’amicizia, ci vuole tempo per apprezzarla e a volte non si può fare nulla per accelerare. Sul piano neuronale si dovrà trovare nuovi punti di riferimento così da invocare un nuovo schema cognitivo. Di conseguenza la ripetizione dell’ascolto e l’aumentare della familiarità consentirà a chiunque di prevedere e quindi di confermare le aspettative generando nell’ascoltatore un senso positivo di gratificazione.

Alessandra Seggi

Alice Mado Proverbio è professore associato di Psicobiologia e Psicologia fisiologica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove insegna Neuroscienze cognitive e altri corsi nelle lauree triennali e in quelle magistrali.

Riflessioni sul saggio: NOI perchè due sono meglio di uno di M. Ammaniti

Il saggio di cui scrivo oggi è solo apparentemente lontano dalla pratica musicale perché, come già visto per altri libri che abbiamo recensito, molti sono i fili che legano al mondo dei suoni le riflessioni apparentemente distanti perché non specificatamente musicali.

Premetto inoltre che toccherò solo alcuni aspetti di questo bellissimo saggio proprio in virtù di una scelta che privilegia interconnessioni e ibridazioni musicali dentro un libro che musicale non è.

Prepariamoci allora ad attraversare come in un viaggio paesaggi che diversamente ci suggestionano attraverso la lettura “sonora” del saggio di Ammaniti.

Nel libro l’autore traccia quella che può essere stata l’evoluzione dell’uomo attraverso le proprie capacità di cooperazione e collaborazione che hanno caratterizzato da sempre la specie umana.

In un’epoca come la nostra centrata sull’individualismo narcisistico la riflessione si concentra sulla cruciale importanza della relazione fin dalle primissime fasi dello sviluppo del bambino.

Ecco, già con queste premesse possiamo tracciare una linea di contatto con il mondo dei suoni.

L’esperienza di suonare uno strumento o cantare coinvolge il soggetto nella sua interezza fisica e psichica. Inizialmente la vibrazione stessa attraversa il corpo di chi suona avvolgendolo dall’interno in una risonanza che crea uno spazio esclusivo. Gli studi a riguardo ci dicono che questo spazio percepito come soggettivo di fatto non lo è, in quanto già all’inizio della vita ci troviamo in uno “spazio noi-centrico” sonoro che allaccia il corpo del bambino a quello della madre in una relazione che dai primordi si fa concreta e stabile. Perciò questa propriocezione del suono che vibra in noi è qualcosa che la nostra esperienza conosce già da tanto tempo.

Anche per i suoni esiste una sorta di qualità relazionale fin dal principio: possiamo ascoltare o ricordare una linea melodica per noi gradevole ma non pensiamo certo che un sol diesis sia bello di per sé! Sono le relazioni tra i suoni ad essere belle!  La musica non è percepita come un suono isolato ma come un insieme dotato di senso costituito da ciò che lo precede e da ciò che lo segue.

Chi fa musica così come chi l’ascolta vive in tempo reale una bilocazione cognitiva che gli permette di essere nel presente ma con un’attenzione al passato prossimo così come con un’anticipazione sull’imminente divenire. Tutto questo fa parte dell’esperienza sonora che, al pari del movimento nello spazio, non lascia traccia se non nella memoria di chi ascolta e/o produce suoni costituendo così una sorta di circolo virtuoso che contempla contemporaneamente lo stare presso di sé unitamente allo stare fuori e intorno a sé.

Questa capacità di stare con sé e contemporaneamente all’esterno si esplicita costantemente nella nostra vita come nella “risonanza empatica che implica un processo automatico che si attiva ogni volta che incontriamo un’altra persona e la guardiamo in viso”.  Prosegue l’autore: “Il mio cervello sta rispecchiando il cervello dell’altra persona e attraverso il mio riconoscimento di quello che sto provando in questo momento sono in grado di comprendere l’altra persona”.

In ogni momento della nostra vita siamo sempre in relazione con l’altro e, grazie a questo l’essere umano ha tante personalità quante le sue stesse relazioni interpersonali. L’Io che si costituisce non è più considerato un’entità rigida e unitaria ma al contrario un’entità in costante trasformazione dove unità e molteplicità coesistono parimenti.

Nel suo saggio Ammaniti ci conferma che i neuroni specchio ci aiutano nell’incontro con gli altri attivandosi nella risonanza emozionale e permettendoci di cogliere lo stato emotivo dell’altro.  Tale meccanismo d’interazione sociale è il più immediato e successivamente la mentalizzazione, “processo più lungo e complesso perché implica una partecipazione della corteccia prefrontale”, ci offre gli strumenti per accogliere la prospettiva degli altri così da coglierne le intensioni, i desideri oltre alle perturbazioni emotive.

Alla luce di queste considerazioni possiamo affermare che se restiamo aperti e disponibili alla relazione, alla reciprocità anche nella pratica educativa saremo in grado d’insegnare, prima ancora dei contenuti, il valore dell’interazione con l’altro e il vantaggio reciproco della collaborazione aspetti questi che nelle pratiche didattiche musicali sono ancora troppo spesso disconosciuti. L’autore a proposito scrive che “la scuola è una vera palestra per l’apprendimento dei codici delle interazioni sociali che verranno utilizzate non solo nell’incontro con gli altri bambini ma successivamente anche nella vita adulta”.

Il senso del noi è legato alla percezione di una connessione, ad una appartenenza sociale e culturale che rappresenta un ‘area di complicità condivisa dentro la quale l’empatia permette l’attivazione di un processo identificativo in quanto l’altro ci assomiglia e perciò viene assimilato al nostro essere.

In questo processo, scrive l’autore, i figli unici vivono un’ulteriore difficoltà in quanto si trovano al centro dell’attenzione e ciò produce lo sviluppo di atteggiamenti narcisistici che interferiscono con la scoperta dell’altro e del noi.

Eppure sappiamo che il nostro Sé si costituisce grazie alle relazioni significative che si stabiliscono già in fase prenatale come dimostrato dalle interazioni tra madre e bambino. Queste relazioni proseguono dopo la nascita, per mezzo del sonoro, attraverso il motherese che è il linguaggio tipico che si usa con i neonati plasmando il profilo melodico e prosodico ai fini comunicativi di scambio e di gioco. Questo tipo di linguaggio rappresenta una prima forma espressiva sonora a valenza comunicativa-emozionale ancor prima del valore semantico delle parole.

Tutte le diverse emozioni, le imitazioni, l’elaborazione si esprimono così attraverso le variazioni di altezza, ritmo e movimento sia da parte di chi invia l’informazione sia, per risonanza da chi la riceve. Oggi sappiamo che queste esperienze protomusicali sono determinanti non solo nel favorire adattamenti fisiologici ed emozionali ma anche nel delineare veri e propri modelli interattivi che acquistano una valenza significativa e socialmente condivisa. Si crea cioè una prima forma di scambio comunicativo costruito sulle variazioni prosodiche del linguaggio e del movimento con o senza parole e questa capacità di risonanza con l’altro si riattiva non solo con il neonato ma anche durante la crescita con i genitori prima e poi con i coetanei e con il gruppo sociale di appartenenza. In questo scenario l’influenza ambientale ha un ruolo primario che si esplicita prima nella famiglia e successivamente nel contesto sociale così come accade per la musica.  Infatti la percezione sonora dipende dalle esperienze musicali esperite dal soggetto che veicolano a sua volta le preferenze in termini di generi relativamente al piacere o meno di quell’esperienza.

Citando gli studi di D. Stern, l’autore illustra il concetto di sintonizzazione in termini di imitazione transmodale che ci permette di riprodurre lo stato d’animo e le emozioni sottostanti un comportamento dell’altro. Le interazioni relazionali, continua Ammaniti, nei primi anni di vita si costituiscono attraverso il Contagio, l’Empatia e la Mentalizzazione.

Anche qui potremo creare un parallelismo musicale.

Un primo momento di approccio alla pratica strumentale e vocale è quasi sempre un momento di imitazione: si riproduce ciò che ascoltiamo, ripetiamo il comportamento, il “come si fa”.

Contemporaneamente a questo l’azione formativa dovrebbe essere incentrata sulla capacità di entrare in risonanza Empatica con lo studente stimolando un’azione di autoempatia al fine di indagare su come ci si sente mentre lo si fa, quindi mentre si canta o si suona, quali sono le emozioni, lo stato propriocettivo, in una ricerca di risonanza affettiva con l’altro che mantenga integre le singole individualità.

In fine la Mentalizzazione, “la prospettiva cognitiva nei confronti dell’altro che consente di comprendere quali sono i suoi desideri e le sue intensioni”. Questa è certamente la parte più complessa in cui è possibile mettere a fuoco i pensieri relativi al come lo studente ha percepito di aver realmente fatto in termini di produzione sonora: è stato facile, difficile, c’è un senso alto o basso di autoefficacia, per come lo studente si sente e percepisce l’agio di poter comunicare al proprio insegnante per confrontare i propri e gli altrui desideri e intensioni. Tutto questo osservato in un’ottica di reciprocità e relazione ci può far sentire il valore di una conferma personale così importante quando s’intraprende lo studio di uno strumento musicale. L’essere accolti per come siamo con tutte le incertezze e le fragilità tecniche, emotive, senza sentirsi inefficaci o inadeguati relativamente al compito da svolgere. In merito a questi pensieri desidero aprire ad alcune considerazioni di ordine pedagogico che possono offrire ulteriori spunti di riflessione. L’insegnante in questo contesto potrà lavorare per costruire una didattica che si muova sulla dinamica del rispecchiamento in cui l’altro è uguale e diverso da sé in uno spazio temporale dove l’ascolto, lo sguardo e la risonanza empatica liberano dalla paura dell’errore che troppo spesso paralizza e inibisce la pratica musicale. Sarà un insegnante disponibile a lasciar accadere le cose, ad osservarle senza anticiparle non sovrapponendosi allo studente curando una qualità di sintonizzazione empatica capace di stare anche nelle situazioni di disagio, sconforto, incertezza, in una attenzione costante alle diverse istanze personali e libera dal giudizio e dalla valutazione. Un’ utopia? Forse, ma forse possibile e praticabile più di quanto si potrebbe pensare.

Il nostro viaggio volge al termine ma speriamo che le suggestioni trasmesse in queste righe possano produrre altri quesiti e curiosità da soddisfare. La lettura del libro NOI, perché due sono meglio di uno, rappresenta a mio parere un’ottima occasione per riflettere e pensare il mondo dell’io e il mondo del noi nella vita così come nell’insegnamento e nella pratica musicale.

 

Alessandra Seggi

 

 

MASSIMO AMMANITI

Neuropsichiatra infantile e psicoanalista, tra i più autorevoli psichiatri italiani, è professore onorario della Sapienza Università di Roma. Tra i suoi libri: “Nel nome del figlio” (Mondadori, 2003), “Pensare per due. Nella mente delle madri” ( Laterza, 2009) e “La nascita dell’intersoggettività” (con V. Gallese, Cortina, 2014). Collabora a “Repubblica”.

 

NOI perché due sono meglio di uno – Ed Il Mulino 2014 Bologna