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Recensione: Daniela Lucangeli: cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere ed Erickson,2020, pg 109

Ci sono varie recensioni di questo libro benché sia uscito da pochi mesi ma ho deciso di scriverne una anch’io principalmente per due motivi: il primo è che mi sono ritrovata moltissimo, sul piano professionale, nelle considerazioni che l’Autrice espone e il secondo è la possibilità di trasferire questi concetti e riflessioni sul versante specifico dell’insegnamento musicale agli adulti.
L’Autrice si riferisce al mondo dei bambini ed è il loro mondo ad essere protagonista in queste pagine ma anche qui è possibile individuare i fili che collegano il mondo dell’infanzia con quello dei giovani prima e degli adulti poi. Nel mio lavoro ho a che fare sempre con giovani e adulti che studiano il modo migliore di predisporre percorsi musicali da insegnare e da esperire nella pratica didattica e per questa ragione ho pensato di trasferire i tanti stimoli che ho ricevuto da questa lettura anche nel mondo degli adulti.
In linea con le considerazioni fin qui espresse lo sguardo in questo scritto, si focalizzerà su alcuni aspetti che, a mio parere, sono evidentemente cedibili all’area musicale non solo nell’età infantile ma anche in età adulta.
Nella recensione seguirò lo stesso schema proposto dall’Autrice soffermandomi sulle prime quattro lezioni escludendo l’ultima “Tutti bravi con i numeri”.
Lezione 1
La scuola dell’abbraccio
Le argomentazioni dell’Autrice si aprono a partire dalla relazione tra “fare errori e sentirne la sofferenza” e sul perché, una volta eliminato l’errore la sofferenza provata resta. Un dato che emerge evidente è che nella “vita psichica non c’è nessun atto che sia solitario: è specifico ma non isolato” questo include non solo atti cognitivi ma anche le emozioni che ciascuno di volta in volta prova. “Le emozioni sono, dunque, corrente neuroelettrica ed essa lascia una traccia: scrive nella nostra memoria.” Nella nostra vita ricerchiamo le esperienze che ci fanno sentire bene e questo attiva il “meccanismo di ricerca” proprio per aspirare ancora a quello che ci fa star bene; al contrario le emozioni come la paura, l’angoscia, il senso di colpa e la vergogna “producono reazioni che rimangono più a lungo nel circuito” proprio per ricordarci di qualcosa che non è buono per noi, da sfuggire, da schivare e tali reazioni “diventano memoria dell’alter”. Così agendo il dolore come la paura si ricordano proprio per difenderci ed evitarli in seguito a protezione di noi e delle generazioni future. “Quando io temo, mi spavento, mi ritraggo: quando non mi fido e mi sento vulnerabile, è perché ricordo esperienze che ho classificato come negative”.
Ecco la paura dell’errore associata ad emozioni spiacevoli. “ Se gli errori che i bambini compiono a scuola causano dolore, perché accompagnati da emozioni sgradite ,l’alert che si stabilisce nella loro memoria è Scappa, non è Affronta l’errore e modificalo”. Perciò se al dato oggetto di studio si associa un’emozione di paura “ si genera un cortocircuito: il bambino ritrova quello che ha memorizzato a livello di conoscenza, ma anche l’emozione che lo invita a starne lontano”. Il senso di colpa insieme alla paura così come alla vergogna legittimano tutti gli atteggiamenti di fuga e rifiuto.
A questo punto ci sono già moti spunti di riflessione che come insegnanti musicisti è necessario prendere in considerazione. In prima istanza includere negli atti cognitivi le emozioni che lo studente prova; sentire la sofferenza degli errori come qualcosa che condiziona la nostra esperienza è un dato che troppo spesso nella pratica musicale viene ignorato. Le immagini dello studio fatto di sofferenza e sacrificio sono dei luoghi comuni che stentano a scomparire dalle nostre aule. Con la stessa logica includere nei processi di apprendimento musicale esperienze che liberino dalla paura dell’errore permetterebbe di attivare un meccanismo di alleanza docente-studente tale da non far sentire quest’ultimo solo e impotente nella difficoltà.
L’Autrice parla inoltre di “interruttori emozionali” intendendo atti, contatti fisici in grado di modificare la produzione di ossitocina, conosciuta come “ormone della relazione” che “ sembra essere anche collegata ai sentimenti di fiducia tra gli esseri umani; inoltre capace di ridimensionare i comportamenti di paura e di ansia e ridurre lo stress: limitando l’ansia sociale, infatti, permette la costruzione di relazioni migliori.”
Come attivare questi interruttori emozionali nella lezione di musica?
Il contatto fisico sappiamo quanto è determinante, un gesto che accoglie, anche una mano che si appoggia sulla spalla e già non ti senti più solo; anche se con gli adulti può essere meno spontaneo che non con un bambino lo studente maggiorenne ne ha bisogno in egual misura e forse a volte anche di più. “L’abbraccio è molto potente, la carezza lo è altrettanto, ma anche il semplice tocco ha importanti conseguenze a livello psicofisico: solo toccando una persona provochiamo una diminuzione del battito cardiaco, della pressione sanguigna, del cortisolo e un aumento dell’ossitocina”.
Oltre ai gesti si può accogliere con lo sguardo, con il sorriso così come si può abbracciare con la voce: “il tocco, lo sguardo, il sorriso, la voce : sono tutti elementi che incoraggiano lo studente quando si trova in uno stato di fatica, perché lo fanno sentire accompagnato da un alleato che lo aiuta e lo sostiene nel risolvere le sue difficoltà”.
Ma quante volte, noi insegnanti includiamo nelle nostre lezioni questi preziosissimi elementi?
Per non parlare dell’allegria, la gioia, ridere che “induce il nostro cervello a produrre endorfine, considerate come gli ormoni della felicità visto che portano a un’attenuazione delle sensazioni di dolore e a un generale buon umore, che ha effetti positivi sul nostro corpo e sulla nostra mente”.
L’insegnate può e anzi dovrebbe essere allegro e lo dovrebbe essere insieme ai suoi studenti per instaurare un clima di ben-essere capace di produrre per entrambi un senso di autoefficacia infondendo energia, curiosità , motivazione e autorealizzazione da ambo le parti.
Un processo di apprendimento si consolida se include una “sincronicità fra le informazioni e le memorie emozionali”.
Perciò alla luce di queste importanti riflessioni non si tratta di insegnare ciò che sappiamo ma piuttosto di creare un contesto nel quale lo studente, con noi, possa esplorare senza paura del giudizio, dell’errore, apprendendo con curiosità, buon umore e piacere in maniera creativa e personale. Quindi non solo non serve proprio a nulla essere severi, adirati e distanti ma è anche controproducente e dannoso!
Come scriveva Gianni Rodari: “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?” se sostituiamo bambino ad adulto non è forse la stessa cosa?
Eppure quante lacrime si versano nello studio della musica, da bambini come da adulti…ma siamo sicuri che servano a qualcosa? Leggendo questo libro, ad ulteriore conferma, direi proprio di no!

Lezione 2
Sbagliando s’impara
“La mente non può non sbagliare. Diversi studi recenti hanno dimostrato addirittura che l’errore rappresenta una vera e propria fase dell’intelligere umano.” L’Autrice indica tre fasi del flusso cognitivo dell’intelligere: assimilazione “da fuori a dentro”, l’elaborazione interna della persona ed infine la restituzione “da dentro a fuori”. Se l’errore rappresenta un punto di “fatica” nell’elaborazione delle informazioni “il suo significato cambia completamente: da conseguenza di una colpa o sintomo di una patologia l’errore diventa la chiave di accesso alla comprensione del percorso cognitivo del bambino”.
Lo stesso principio vale per l’adulto e in questo senso è compito dell’insegnante attivare strategie, proporre indicazioni didattiche utili affinché lo studente possa trovare soluzioni più congeniali e supporti atti a superare l’ostacolo ottimizzando le proprie risorse e alimentando un processo di empowered passando da una situazione di svantaggio ad un rafforzamento delle proprie capacità sviluppando autostima ed efficacia. L’insegnante deve prendersi cura della motivazione del proprio studente e attivarsi per sostenerla anche nell’adulto: se è vero che da grandi la motivazione intrinseca è un motore indispensabile per affrontare le novità è altrettanto vero che il ruolo e direi il valore di chi insegna è anche quello di far innamorare alla propria disciplina.
Ma come si può fare in concreto?
L’insegnante , propone l’Autrice, è come un catalizzatore cioè “rende più facile una trasformazione fondamentale” sostenendo e aiutando lo studente a ottimizzare il proprio potenziale in un clima di fiducia e di stima reciproca, dove il supporto fornito è presente ma allo stesso tempo lascia libero l’altro di muoversi autonomamente con il proprio passo.
Quanta preoccupazione abbiamo sul programma da svolgere piuttosto che sul ben -essere che riusciamo a creare! In musica la possibilità di valorizzare la propria modalità espressiva è ancora più evidente e direi necessaria: un insegnante che tiene in considerazione lo stile del proprio studente di musica, senza giudizio, e che si cura di non produrne un proprio clone rappresenta la dimensione più autentica per tracciare nella memoria la serenità necessaria per lasciare fuori dalla porta l’ansia da prestazione e la paura. Così avremo un insegnamento costruito sul piacere, la curiosità e la motivazione in una logica che sappia contemplare non solo la dimensione razionale dell’apprendimento ma anche la dimensione emotiva ed affettiva.
Gli insegnanti “devono imparare a godere dell’intelligenza del bambino come di un flusso in continuo movimento, capace di assorbire, rielaborare e restituire contenuti in modo creativo e socialmente costruttivo”. Così anche per l’adulto che s’iscrive in Conservatorio per studiare musica: nell’apprendimento le strutture cognitive procedono attraverso azioni e retroazioni continue che includono il corpo come unità con il pensiero ed il sentire, dove ogni azione è conoscenza emotivamente connotata. Per agevolare tutto questo l’insegnante non dovrà sovrapporsi allo suo studente ma al contrario lasciarsi sorprendere essendo disponibile a lasciar accadere le cose, ad osservarle senza fretta lasciando che sia lui, con le sue proprie modalità, a completare l’azione musicale sul suo strumento.

Lezione 3
Verso il successo scolastico
Come possiamo nutrire la voglia di studiare? Secondo Albert Bandura che ha elaborato e studiato il concetto di autoefficacia c’è una strettissima relazione fra le capacità soggettive ed i pensieri che ognuno di noi collega incluse le emozioni e la motivazione. “Chi si percepisce efficace affronta i compiti difficili con la consapevolezza di poterli completare con successo…quindi è più portato a perseverare anche difronte a degli ostacoli.”
E quindi? Se già nelle prime fasi dell’apprendimento musicale il nostro studente sperimenterà la gratificazione anche i pensieri conseguentemente riusciranno con successo a sostenerlo altresì nei momenti difficoltà. Questo non significa ottenere dei risultati senza impegno ma al contrario essere consapevole di avere ciò che è utile per affrontare le nuove sfide del futuro. Conseguentemente la paura di sbagliare o peggio di fallire non risulterebbe più essere sinonimo di mancanza di capacità “non sono più io ad essere sbagliato, ma l’approccio che ho utilizzato”. Da questo punto di vista è la percezione del compito che lo studente dovrebbe avere: qualcosa che è alla mia portata, una difficoltà che posso incontrare, che è fattibile e che posso risolvere da solo.
Ovviamente l’insegnante dovrà resistere, fermarsi, sia con le parole giudicanti o peggio svalutanti, sia con la tentazione di sostituirsi sovrapponendosi all’allievo.
“Ti faccio vedere come si fa. È così facile!” quante volte ci siamo sentiti dire queste parole dal nostro insegnante di musica.. e quanto queste parole ci hanno detto implicitamente “tu non sei capace nemmeno di fare questa cosa così semplice, lascia stare faccio io che faccio prima”. Come dire : dato che non ti riesce ti aiuto e mi sostituisco a te.
Mi viene da pensare a tutte le scuole di pedagogia musicale che fin dai primi dell’800 mettevano in guardia il docente dall’ esplicitare giudizi svalutanti nei confronti degli allievi e delle produzioni musicali originali che andavano creando. La Montessori, la Bassi, la Ward fino a Kodaly, Orff, Dalcroze tutti, sempre, valorizzando le creazioni originali degli studenti , stimolando la creatività musicale senza boicottare, o giudicare nessuna produzione …peccato aver perso, troppo spesso, per strada questa stima e rispetto per l’altro a prescindere dall’età e dalle sue abilità.
“Per accendere la motivazione ad apprendere è quindi molto importante capire la relazione tra l’azione e l’obiettivo che il soggetto ha; l’obiettivo può essere consapevole o non consapevole, ma esiste sempre , ed è quello che spinge all’azione.”
Questa affermazione la trovo particolarmente aderente al mondo degli studenti di musica adulti e condivido il pensiero dell’Autrice di un processo formativo che attraversa e suggestiona entrambi i protagonisti della relazione, che sollecita l’autonomia e la capacità di darsi degli obiettivi autoregolando il proprio processo di studio in sincronia con il proprio stile espressivo.
Contagio emotivo, ascoltare, ascoltarsi, empatia tutto ciò è indispensabile e imprescindibile in una lezione di musica in particolare dove la qualità del sentire i suoni e di come ci sentiamo noi con i suoni è la consapevolezza che ci è utile praticare sia individualmente che collettivamente.
Lezione 4
Star male a scuola
“Perché i ragazzi stanno male?” l’Autrice indica alcune tra le possibili cause fra cui l’inadeguatezza del carico cognitivo sia in termini di quantità che di qualità: troppo spesso si chiede di memorizzare procedure e regole piuttosto che sviluppare competenze individuali e questo in musica accade di frequente: si anticipa la teoria a discapito dell’esperienza diretta.
La ricerca s’interroga da tempo sulla capacità immediata di far musica da un lato e dall’altro sull’acquisizione delle conoscenze utili a leggere e scrivere la musica. Si parla di Apprendimento informale cioè senza insegnamenti specifici ma facendo pratica per mezzo dell’imitazione iniziale per poi, sempre attraverso l’esperienza diretta arrivare alla pratica della lettura e scrittura della musica. Se queste esperienze accadessero almeno qualche volta nelle lezioni di strumento avremo un’occasione per nutrire il piacere di far musica, di comunicare in modo libero, giocoso esprimendo ciascuno la propria musicking ( C. Small 1998) intesa come capacità di partecipare al processo collettivo e interattivo del fare musica.
In tutte le metodologie storiche musicali, dalla Bassi a Gordon, si afferma il valore formativo ed espressivo dell’improvvisazione quale luogo di esperienza libera di ascolto e produzione originale collettiva in assenza di errore e di giudizio. Anche qui l’insegnante sarà un facilitatore in grado di abbandonare l’idea di controllo e di essere partecipe e complice fiducioso delle capacità elaborative del gruppo classe in un clima di “sicurezze senza sicurezze”.
“Quindi un insegnante che vuol far crescere l’intelligenza deve seminare l’intelligenza; se vuol far crescere il benessere, deve seminare il benessere; se vuol far nascere la fiducia , deve seminare la fiducia.” Il problema è saper agire per primi, essere più che conoscere, coltivare la dimensione collettiva per conquistare un sapere condiviso e mediato dal gruppo. Troppo spesso la dimensione intersoggettiva del fare musica non viene curata abbastanza mentre verbalizzare insieme le difficoltà come i successi rappresenta una grande opportunità di scambio e confronto utile, stimolante e motivante allo stesso tempo. Ovviamente si riuscirà a creare un clima di questo tipo se lasciamo fuori dalla porta la competizione e la rivalità fra studenti: vedere l’altro come concorrente innesca un meccanismo di protezione, un atteggiamento difensivo che ben poco a che fare con la collaborazione ed il far musica insieme. Sarà necessario non incentivare la paura ed il giudizio che implica la sensazione di non riuscire, di non essere capace da soli ma al contrario stimolare il senso di appartenenza ad una comunità che insieme studia e cresce l’uno con il sostegno dell’altro.
Così come l’alleanza fra studenti, e quella fra docente-studente, rappresentano un bene troppo prezioso per non prendersene cura e adoperarsi per far si che non venga mai meno nelle nostre lezioni.
Mi piace concludere questo scritto con l’invito, per tutti noi che ci occupiamo di formazione, di mettersi in gioco come dice l’Autrice con il coraggio e con il cuore e di sentirsi parte di una collettività dove ciò che insegniamo è meno di tutto ciò che ogni giorno impariamo dai nostri studenti.

Alessandra Seggi

Recensione: L’essere musicale, Nuovi orizzonti della didattica della musica A cura di Grazia Sebastiani

L’essere musicale: un titolo che mi ha incuriosito e che ho acquistato quasi ad occhi chiusi. Il libro nasce come produzione del Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli e già questo rappresenta di per sé una novità nel panorama della saggistica italiana. Inoltre il lavoro si configura nel Dipartimento di Didattica della Musica a testimonianza di come queste scuole producano, ormai da anni, riflessioni e progetti di valore sia nella ricerca che nella progettazione didattico musicale.

Il testo curato da Grazia Sebastiani, docente di Pedagogia Musicale presso lo stesso Conservatorio, espone una serie di riflessioni sulle pratiche e le metodologie dell’insegnamento musicale oggi con particolare riferimento alla didattica per competenze e all’inclusione di studenti con bisogni speciali in un approccio teso a valorizzare l’individuo e le sue peculiarità.

Il volume è strutturato in due parti distinte ma fortemente connesse fra loro.

Nella prima si espongono esperienze d’inclusione attivate da docenti di liceo musicale illustrando esempi didattici centrati sulle pratiche strumentali ed in particolare: flauto, percussione, violino e chitarra. Sempre in questa sezione la curatrice illustra un contributo sulla formazione musicale di tipo accademico con uno studente ipovedente e due non vedenti. Segue poi una sezione dedicata all’osservazione di iniziative e pratiche rivolte alla disabilità attraverso la narrazione di esperienze vissute affiancate da riflessioni sul tema di natura psicoterapica. Nella seconda parte sono inoltre esposte delle Unità di Apprendimento (UDA) strutturate per competenze ed EAS (Episodi di Apprendimento Situato) indirizzati a studenti di scuola secondaria di I grado e liceo musicale. Tutti i lavori presentati sono stati prodotti e scritti da ex studenti del Biennio di specializzazione di Didattica della Musica: PAS (Percorsi Abilitanti Speciali) e TFA (Tirocinio Formativo Attivo) tenuti nell’ A.A. 2014-15 presso il Conservatorio di Monopoli e che oggi sono docenti di scuola secondaria di I grado e di liceo musicale nella stessa regione.

Nell’impostazione del libro si alternano momenti di riflessione pedagogica e didattico musicale a momenti di pratiche agite a sostegno delle premesse teoriche via via esposte rendendo la lettura agile e concreta allo stesso tempo. In questa sede segnalo solo alcuni spunti di riflessione tratti dal libro lasciando a voi la curiosità di scoprirne ancora altri presenti in questo lavoro.

Parto da alcuni degli interrogativi che Grazia Sebastiani espone nella premessa, ed in particolare:

“Come si inserisce l’apprendimento musicale nello sviluppo delle competenze chiave di cittadinanza? Quali aspetti dell’insegnamento/apprendimento musicale si possono inserire nella progettazione di Unità di Apprendimento in cui l’ambito della Consapevolezza ed espressione culturale si intersechi con le altre competenze? Può valere anche per le discipline musicali l’idea di un ripensamento dell’insegnamento in termini di “scienza della progettazione” attraverso l’uso delle tecnologie? Si può fare didattica della musica con gli EAS? E in quale grado scolastico può risultare più efficace? Il metodo può effettivamente migliorare e facilitare gli apprendimenti in ambito musicale? Si può fare musica con la “classe capovolta”? Quale ruolo possono svolgere in questo ambito le nuove tecnologie?”

Nelle proposte che i singoli docenti espongono si concretizzano modalità e tecniche didattiche strutturate per sviluppare competenze, modellandole sulle pratiche musicali a partire dall’utilizzo del modello EAS,(tipologia di unità didattiche digitali minime)  Flipped classroom, Cooperative learning , problem solving, processi metacognitivi e pensiero creativo. Il tutto in un’ottica di didattica inclusiva secondo le Linee guida del MIUR per intervenire sui Bisogni Educativi Speciali dall’autismo alle disabilità motorie e visive, alla dislessia e ai diversi disturbi specifici dell’apprendimento.

Un dato interessante, in questo settore per i Conservatori, è la costituzione del GLIAFAM (Gruppo Lavoro Inclusione Comparto AFAM) dove un docente esterno per i conservatori e alcuni docenti di accademie di BBAA, “portano avanti  un’azione di sensibilizzazione in nome delle pari opportunità anche per gli studenti con disabilità di questo comparto e sta indirizzando il proprio impegno verso il riconoscimento della equiparazione agli atenei e la nomina di un delegato alla disabilità anche nei conservatori e nelle accademie con il sostegno del CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati alle Disabilità)”. Un contributo prezioso, presente nel libro, è quello del musicista Vincenzo Deluci, trombettista fasanese che dopo un incidente automobilistico rimane tetraplegico ma continua a suonare grazie a una tromba particolare adattata ai movimenti possibili del suo fisico. Nel 2011 fonda l’associazione AccordiAbili con sede a Fasano, in provincia di Brindisi, che “opera senza scopo di lucro sul territorio nazionale ed internazionale per la crescita del progetto “eMotion”, volto alla ricerca e sviluppo di tecnologie hardware e software che permettano ad un disabile di suonare uno strumento musicale. Il progetto “eMotion” si basa sul lavoro di un team di volontari, esperti nel campo dell’informatica, dell’elettronica, dell’artigianato e della musica che operano in rete per sviluppare uno strumento musicale costruito su misura dell’utente disabile”. Sempre su questi temi si sviluppa la parte curata da Caterina Santoro in merito agli studi attuali sull’uso di strumenti musicali “ritenuti più idonei in base alle diverse tipologie di disabilità”. Ciò che emerge è una realtà di lavoro e ricerca italiana ed europea per la modifica di strumenti musicali unitamente a dispositivi tecnologici creati per offrire la possibilità alle persone disabili di suonare, ascoltare e comporre musica. Il contributo è arricchito da una dettagliata sitografia che permette un viaggio in questo mondo parallelo di realtà musicale specifica.

Nella parte del libro dedicata alle UDA ed EAS sono esposte proposte operative musicali articolate sulle competenze chiave utilizzando un format composto da 5 parti: scheda di progetto, piano di lavoro, diagramma di Gant, consegna agli studenti e relazione finale dello studente. All’interno del Piano di lavoro si dettaglia l’articolazione della UDA con attività, strumenti, esiti tempi e valutazione. Per gli esempi di EAS si fa riferimento alle tre fasi: preparatoria, operatoria e ristrutturativa dove il docente propone alcuni video che, attraverso processi di problem solving consentiranno agli studenti di creare un prodotto originale ottenuto attraverso il lavoro cooperativo e inclusivo di gruppo.

I diversi contributi che costituiscono il libro sono tutti caratterizzati da grande energia propulsiva sul valore terapeutico dell’esperienza musicale sia per i diversamente abili che per tutto il gruppo classe. Inoltre si evidenzia l’importanza delle forme di lezione partecipata, della pratica di un “sapere agito” che permetta di rompere le barriere tra fare e pensare costituendosi proprio sulla pratica esperienziale del gruppo che apprende. Altro elemento sostanziale è rappresentato dalla qualità della relazione che si crea tra docente e studenti unitamente alle pratiche di ascolto attivo che fanno del gruppo classe un insieme capace di relazionarsi accrescendo il senso di autoefficacia tanto individuale che collettivo.

Come collega di Pedagogia Musicale in Conservatorio posso immaginare le difficoltà ed il lavoro che sta dietro alla pubblicazione di questo libro e sono certa che sia stato, per gli studenti, quanto per i docenti, un processo stimolante e motivante allo stesso tempo. Potrebbe essere

un’incentivo per tutti noi che operiamo nelle Scuole di Didattica della Musica raccogliere i materiali che negli anni vengono prodotti per far conoscere la qualità delle riflessioni ed elaborazioni intellettuali che in questi dipartimenti si concretizzano. Inoltre mi sento di sottolineare il valore di una progettualità didattico musicale che nasce in una regione del Sud Italia anche qui a conferma del grande lavoro che si sta svolgendo nel Sud e nelle Isole ma che forse ancora troppo poco si conosce a livello nazionale.

Un apprezzamento sincero al Dipartimento di Didattica del Conservatorio di Musica di Monopoli per questo risultato con l’augurio che la nostra recensione possa stimolare la curiosità di leggere e conoscere il libro di cui vi abbiamo scritto oggi.

 

Alessandra Seggi

 

 

L’Essere musicale

Nuovi orizzonti della didattica della musica

A cura di Grazia Sebastiani

Edizioni Florestano, Bari 2017

Pg. 175