Assenza: Riflessioni sparse a fine Anno Accademico

Le lezioni sono terminate e quest’anno, a differenza degli altri anni, è tutto diverso. Il senso di sospensione e di vuoto improvviso che da docente ho sempre percepito in questo periodo, oggi si presenta con una veste nuova se pur consueta. E’ mancato l’impatto fisico che la presenza dell’altro genera, sono mancate le giornate convulse di richieste, di occhi interroganti, di odori che segnano il cambio di stagione, di eccitazione per la fine delle lezioni. Tutto si è svolto filtrato da uno schermo che ha gelato la vibrazione fisica che l’incontro dei corpi genera, un diaframma invisibile eppure concreto, asettico, capace di generare un distanziamento emozionale oltre che fisico. Gli occhi che perdono leggibilità, gesti che non sono accompagnati dal corpo, tutto è alterato in uno spazio temporale strozzato dentro il quale è difficile far passare la naturalezza dello stare insieme. Tutto ciò che la vicinanza dei corpi rende possibile senza sforzo adesso è da cercare, da ricostruire senza conoscerne consapevolmente la natura intima e spontanea che la caratterizza. Così questo nuovo strumento della didattica a distanza ha svelato tutte le sue fragilità non solo per i bambini , per gli adolescenti ma anche per gli adulti e vorrei dire forse per noi anche di più.
Dopo un primo tempo di eccitante entusiasmo per le possibilità che questi strumenti ci davano in quel momento di solitudine forzata, ci siamo progressivamente ingessati dentro rinunciando molto spesso all’energia vitale che ti restituisce la vibrazione della voce altrui sulla tua pelle, l’incalzare di una discussione che ti anima dentro e che si esprime con tutto il corpo, con lo sguardo…questo progressivo appiattimento ha smorzato l’aurosal che naturalmente emerge in presenza lasciando un vuoto personale e collettivo che da sole, le parole, non riescono a colmare.
E proprio le parole che così tanto fanno parte delle mie lezioni di pedagogia musicale adesso risuonano in una collettività virtuale che si mostra in piccole finestre appiattite degli schermi e mi chiedo se saranno ancora capaci di aprire squarci, sguardi nuovi, e se trasmetteranno ancora l’entusiasmo e l’amore per il sapere e per la bellezza di questo lavoro.
Tutti ci siamo sforzati di far vivere i nostri interventi, le nostre istanze, le domande con un impegno lodevole ma che, almeno in me, ha lasciato un senso di assenza, di vuoto atipico con il quale fare i conti e riflettere allo stesso tempo.
Come e cosa è cambiato in questi mesi nel rapporto con gli studenti? Come sono cambiati i rapporti fra di noi e fra di loro? Come e cosa potremo ripercorrere quando e se ci rivedremo insieme? A quali domande daremo risposte? E quanti interrogativi resteranno sospesi?
Tutto questo disagio è stato comune nei vari ordini di scuole ma nei Conservatori di musica a mio parere ha subito una risonanza più profonda e sorda chiusa ancora di più nell’ isolamento di ciascuno, nell’ego centratura solitaria che lo studio musicale nutre da sempre. Ciascuno impegnato a sistemare le proprie difficoltà che questo isolamento ha generato e tutti insieme, negli incontri sulle diverse piattaforme, a cercare in tutti i modi di dar vita ad una “normalità” sapendo fin troppo bene che non poteva esserlo e in questo gioco ognuno ha cercato una propria via di uscita che in qualche modo potesse restituire la legittimità consueta e condivisa all’interno dei diversi ruoli tra studenti e docente. Ma eravamo tutti noi a non essere più quelli di prima… eppure, come in tutti i giochi di regole sapevamo che era importante confermare le reciproche aspettative per mantenere almeno qualcosa di saldo e certo nonostante la navigazione nella vita personale di ognuno emotivamente incerta e a volte confusa. Certo è stato uno sforzo lodevole ma sempre di sforzo si parla e come questo impegno abbia toccato la sensibilità dei singoli è difficile da dire così come quanto ne siamo rimasti soddisfatti o addirittura intimamente rigenerati. In tutto questo la musica ha segnato ancor di più il confine fra le persone assicurando quello spazio di solitudine e di autoreferenzialità che in modi diversi caratterizza il nostro essere musicisti. Uno spazio senza parole per sua natura intrinseca dove si può dar vita autonomamente a modi nuovi nel silenzio connotato dei suoni che siamo in grado di generare. In questa bolla di autocompiacimento può non esserci lo spazio per la relazione con l’altro, per l’interazione che smuove e scuote le certezze personali. Tutto il mio lavoro come docente è proprio quello di sollecitare una sensibilità che permetta di vedere il nesso profondo tra la qualità delle relazioni interpersonali nel gruppo e l’apprendimento personale e collettivo. Le influenze reciproche sia in termini di scambi e legami fra i protagonisti dell’azione didattica quanto creato dal clima e dalla qualità delle relazioni e interazioni reciproche capaci di generare delle trasformazioni profonde.
Ma in questa condizione di lezioni “in vitro” cosa sarà passato di tutto questo?
Il proprio turbamento emotivo quanto è stato in grado di scuotere relativamente al piacere di condividere insieme anche se a distanza ? Quante fragilità emotive hanno minato il ben-essere che in ogni incontro cercavo di creare? Cosa può davvero un insegnante, in queste condizioni, nella relazione con i suo studenti adulti?
In tutte le parole e considerazioni che sono state scritte in questo periodo forse poche riflessioni si sono spese dentro al mondo degli adulti che studiano e che l’hanno fatto in modalità a distanza.
Come i bambini e gli adolescenti gli adulti hanno affrontato la situazione con preoccupazioni nascoste, mostrando a sé e agli altri una sicurezza spesso fragile dove sono emerse, a volte senza controllo volontario, tutte le fragilità personali. Gli adulti che studiano hanno, come i giovani , il bisogno d’incontrare sé stessi e questo incontro accade nel momento in cui l’altro ti rispecchia il positivo che c’è, che crede in te e che fa il tifo per te. Costruire una consapevolezza che permetta di percepire la presenza di tutto ciò che è utile per affrontare le nuove sfide del futuro senza paura in un’apertura serena e stimolante verso il nuovo. Questa continua rigenerazione del sé accade, con tempistiche individuali, nella relazione interpersonale tra docente e studenti producendo una trasformazione continua che si genera nel corpo perché la didattica autentica è sempre attraversata dal corpo, dall’energia capace di reinventare gli oggetti del sapere. Certamente nei nostri incontri a distanza il corpo è stato il grande assente, escluso forzatamente e mi chiedo: se il corpo è un’unità stretta con il pensiero ed il sentire, se la conoscenza è un’azione emotivamente connotata, cosa resterà di tutto questo nella memoria dei nostri tessuti ?

Alessandra Seggi

Recensione: Daniela Lucangeli: cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere ed Erickson,2020, pg 109

Ci sono varie recensioni di questo libro benché sia uscito da pochi mesi ma ho deciso di scriverne una anch’io principalmente per due motivi: il primo è che mi sono ritrovata moltissimo, sul piano professionale, nelle considerazioni che l’Autrice espone e il secondo è la possibilità di trasferire questi concetti e riflessioni sul versante specifico dell’insegnamento musicale agli adulti.
L’Autrice si riferisce al mondo dei bambini ed è il loro mondo ad essere protagonista in queste pagine ma anche qui è possibile individuare i fili che collegano il mondo dell’infanzia con quello dei giovani prima e degli adulti poi. Nel mio lavoro ho a che fare sempre con giovani e adulti che studiano il modo migliore di predisporre percorsi musicali da insegnare e da esperire nella pratica didattica e per questa ragione ho pensato di trasferire i tanti stimoli che ho ricevuto da questa lettura anche nel mondo degli adulti.
In linea con le considerazioni fin qui espresse lo sguardo in questo scritto, si focalizzerà su alcuni aspetti che, a mio parere, sono evidentemente cedibili all’area musicale non solo nell’età infantile ma anche in età adulta.
Nella recensione seguirò lo stesso schema proposto dall’Autrice soffermandomi sulle prime quattro lezioni escludendo l’ultima “Tutti bravi con i numeri”.
Lezione 1
La scuola dell’abbraccio
Le argomentazioni dell’Autrice si aprono a partire dalla relazione tra “fare errori e sentirne la sofferenza” e sul perché, una volta eliminato l’errore la sofferenza provata resta. Un dato che emerge evidente è che nella “vita psichica non c’è nessun atto che sia solitario: è specifico ma non isolato” questo include non solo atti cognitivi ma anche le emozioni che ciascuno di volta in volta prova. “Le emozioni sono, dunque, corrente neuroelettrica ed essa lascia una traccia: scrive nella nostra memoria.” Nella nostra vita ricerchiamo le esperienze che ci fanno sentire bene e questo attiva il “meccanismo di ricerca” proprio per aspirare ancora a quello che ci fa star bene; al contrario le emozioni come la paura, l’angoscia, il senso di colpa e la vergogna “producono reazioni che rimangono più a lungo nel circuito” proprio per ricordarci di qualcosa che non è buono per noi, da sfuggire, da schivare e tali reazioni “diventano memoria dell’alter”. Così agendo il dolore come la paura si ricordano proprio per difenderci ed evitarli in seguito a protezione di noi e delle generazioni future. “Quando io temo, mi spavento, mi ritraggo: quando non mi fido e mi sento vulnerabile, è perché ricordo esperienze che ho classificato come negative”.
Ecco la paura dell’errore associata ad emozioni spiacevoli. “ Se gli errori che i bambini compiono a scuola causano dolore, perché accompagnati da emozioni sgradite ,l’alert che si stabilisce nella loro memoria è Scappa, non è Affronta l’errore e modificalo”. Perciò se al dato oggetto di studio si associa un’emozione di paura “ si genera un cortocircuito: il bambino ritrova quello che ha memorizzato a livello di conoscenza, ma anche l’emozione che lo invita a starne lontano”. Il senso di colpa insieme alla paura così come alla vergogna legittimano tutti gli atteggiamenti di fuga e rifiuto.
A questo punto ci sono già moti spunti di riflessione che come insegnanti musicisti è necessario prendere in considerazione. In prima istanza includere negli atti cognitivi le emozioni che lo studente prova; sentire la sofferenza degli errori come qualcosa che condiziona la nostra esperienza è un dato che troppo spesso nella pratica musicale viene ignorato. Le immagini dello studio fatto di sofferenza e sacrificio sono dei luoghi comuni che stentano a scomparire dalle nostre aule. Con la stessa logica includere nei processi di apprendimento musicale esperienze che liberino dalla paura dell’errore permetterebbe di attivare un meccanismo di alleanza docente-studente tale da non far sentire quest’ultimo solo e impotente nella difficoltà.
L’Autrice parla inoltre di “interruttori emozionali” intendendo atti, contatti fisici in grado di modificare la produzione di ossitocina, conosciuta come “ormone della relazione” che “ sembra essere anche collegata ai sentimenti di fiducia tra gli esseri umani; inoltre capace di ridimensionare i comportamenti di paura e di ansia e ridurre lo stress: limitando l’ansia sociale, infatti, permette la costruzione di relazioni migliori.”
Come attivare questi interruttori emozionali nella lezione di musica?
Il contatto fisico sappiamo quanto è determinante, un gesto che accoglie, anche una mano che si appoggia sulla spalla e già non ti senti più solo; anche se con gli adulti può essere meno spontaneo che non con un bambino lo studente maggiorenne ne ha bisogno in egual misura e forse a volte anche di più. “L’abbraccio è molto potente, la carezza lo è altrettanto, ma anche il semplice tocco ha importanti conseguenze a livello psicofisico: solo toccando una persona provochiamo una diminuzione del battito cardiaco, della pressione sanguigna, del cortisolo e un aumento dell’ossitocina”.
Oltre ai gesti si può accogliere con lo sguardo, con il sorriso così come si può abbracciare con la voce: “il tocco, lo sguardo, il sorriso, la voce : sono tutti elementi che incoraggiano lo studente quando si trova in uno stato di fatica, perché lo fanno sentire accompagnato da un alleato che lo aiuta e lo sostiene nel risolvere le sue difficoltà”.
Ma quante volte, noi insegnanti includiamo nelle nostre lezioni questi preziosissimi elementi?
Per non parlare dell’allegria, la gioia, ridere che “induce il nostro cervello a produrre endorfine, considerate come gli ormoni della felicità visto che portano a un’attenuazione delle sensazioni di dolore e a un generale buon umore, che ha effetti positivi sul nostro corpo e sulla nostra mente”.
L’insegnate può e anzi dovrebbe essere allegro e lo dovrebbe essere insieme ai suoi studenti per instaurare un clima di ben-essere capace di produrre per entrambi un senso di autoefficacia infondendo energia, curiosità , motivazione e autorealizzazione da ambo le parti.
Un processo di apprendimento si consolida se include una “sincronicità fra le informazioni e le memorie emozionali”.
Perciò alla luce di queste importanti riflessioni non si tratta di insegnare ciò che sappiamo ma piuttosto di creare un contesto nel quale lo studente, con noi, possa esplorare senza paura del giudizio, dell’errore, apprendendo con curiosità, buon umore e piacere in maniera creativa e personale. Quindi non solo non serve proprio a nulla essere severi, adirati e distanti ma è anche controproducente e dannoso!
Come scriveva Gianni Rodari: “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?” se sostituiamo bambino ad adulto non è forse la stessa cosa?
Eppure quante lacrime si versano nello studio della musica, da bambini come da adulti…ma siamo sicuri che servano a qualcosa? Leggendo questo libro, ad ulteriore conferma, direi proprio di no!

Lezione 2
Sbagliando s’impara
“La mente non può non sbagliare. Diversi studi recenti hanno dimostrato addirittura che l’errore rappresenta una vera e propria fase dell’intelligere umano.” L’Autrice indica tre fasi del flusso cognitivo dell’intelligere: assimilazione “da fuori a dentro”, l’elaborazione interna della persona ed infine la restituzione “da dentro a fuori”. Se l’errore rappresenta un punto di “fatica” nell’elaborazione delle informazioni “il suo significato cambia completamente: da conseguenza di una colpa o sintomo di una patologia l’errore diventa la chiave di accesso alla comprensione del percorso cognitivo del bambino”.
Lo stesso principio vale per l’adulto e in questo senso è compito dell’insegnante attivare strategie, proporre indicazioni didattiche utili affinché lo studente possa trovare soluzioni più congeniali e supporti atti a superare l’ostacolo ottimizzando le proprie risorse e alimentando un processo di empowered passando da una situazione di svantaggio ad un rafforzamento delle proprie capacità sviluppando autostima ed efficacia. L’insegnante deve prendersi cura della motivazione del proprio studente e attivarsi per sostenerla anche nell’adulto: se è vero che da grandi la motivazione intrinseca è un motore indispensabile per affrontare le novità è altrettanto vero che il ruolo e direi il valore di chi insegna è anche quello di far innamorare alla propria disciplina.
Ma come si può fare in concreto?
L’insegnante , propone l’Autrice, è come un catalizzatore cioè “rende più facile una trasformazione fondamentale” sostenendo e aiutando lo studente a ottimizzare il proprio potenziale in un clima di fiducia e di stima reciproca, dove il supporto fornito è presente ma allo stesso tempo lascia libero l’altro di muoversi autonomamente con il proprio passo.
Quanta preoccupazione abbiamo sul programma da svolgere piuttosto che sul ben -essere che riusciamo a creare! In musica la possibilità di valorizzare la propria modalità espressiva è ancora più evidente e direi necessaria: un insegnante che tiene in considerazione lo stile del proprio studente di musica, senza giudizio, e che si cura di non produrne un proprio clone rappresenta la dimensione più autentica per tracciare nella memoria la serenità necessaria per lasciare fuori dalla porta l’ansia da prestazione e la paura. Così avremo un insegnamento costruito sul piacere, la curiosità e la motivazione in una logica che sappia contemplare non solo la dimensione razionale dell’apprendimento ma anche la dimensione emotiva ed affettiva.
Gli insegnanti “devono imparare a godere dell’intelligenza del bambino come di un flusso in continuo movimento, capace di assorbire, rielaborare e restituire contenuti in modo creativo e socialmente costruttivo”. Così anche per l’adulto che s’iscrive in Conservatorio per studiare musica: nell’apprendimento le strutture cognitive procedono attraverso azioni e retroazioni continue che includono il corpo come unità con il pensiero ed il sentire, dove ogni azione è conoscenza emotivamente connotata. Per agevolare tutto questo l’insegnante non dovrà sovrapporsi allo suo studente ma al contrario lasciarsi sorprendere essendo disponibile a lasciar accadere le cose, ad osservarle senza fretta lasciando che sia lui, con le sue proprie modalità, a completare l’azione musicale sul suo strumento.

Lezione 3
Verso il successo scolastico
Come possiamo nutrire la voglia di studiare? Secondo Albert Bandura che ha elaborato e studiato il concetto di autoefficacia c’è una strettissima relazione fra le capacità soggettive ed i pensieri che ognuno di noi collega incluse le emozioni e la motivazione. “Chi si percepisce efficace affronta i compiti difficili con la consapevolezza di poterli completare con successo…quindi è più portato a perseverare anche difronte a degli ostacoli.”
E quindi? Se già nelle prime fasi dell’apprendimento musicale il nostro studente sperimenterà la gratificazione anche i pensieri conseguentemente riusciranno con successo a sostenerlo altresì nei momenti difficoltà. Questo non significa ottenere dei risultati senza impegno ma al contrario essere consapevole di avere ciò che è utile per affrontare le nuove sfide del futuro. Conseguentemente la paura di sbagliare o peggio di fallire non risulterebbe più essere sinonimo di mancanza di capacità “non sono più io ad essere sbagliato, ma l’approccio che ho utilizzato”. Da questo punto di vista è la percezione del compito che lo studente dovrebbe avere: qualcosa che è alla mia portata, una difficoltà che posso incontrare, che è fattibile e che posso risolvere da solo.
Ovviamente l’insegnante dovrà resistere, fermarsi, sia con le parole giudicanti o peggio svalutanti, sia con la tentazione di sostituirsi sovrapponendosi all’allievo.
“Ti faccio vedere come si fa. È così facile!” quante volte ci siamo sentiti dire queste parole dal nostro insegnante di musica.. e quanto queste parole ci hanno detto implicitamente “tu non sei capace nemmeno di fare questa cosa così semplice, lascia stare faccio io che faccio prima”. Come dire : dato che non ti riesce ti aiuto e mi sostituisco a te.
Mi viene da pensare a tutte le scuole di pedagogia musicale che fin dai primi dell’800 mettevano in guardia il docente dall’ esplicitare giudizi svalutanti nei confronti degli allievi e delle produzioni musicali originali che andavano creando. La Montessori, la Bassi, la Ward fino a Kodaly, Orff, Dalcroze tutti, sempre, valorizzando le creazioni originali degli studenti , stimolando la creatività musicale senza boicottare, o giudicare nessuna produzione …peccato aver perso, troppo spesso, per strada questa stima e rispetto per l’altro a prescindere dall’età e dalle sue abilità.
“Per accendere la motivazione ad apprendere è quindi molto importante capire la relazione tra l’azione e l’obiettivo che il soggetto ha; l’obiettivo può essere consapevole o non consapevole, ma esiste sempre , ed è quello che spinge all’azione.”
Questa affermazione la trovo particolarmente aderente al mondo degli studenti di musica adulti e condivido il pensiero dell’Autrice di un processo formativo che attraversa e suggestiona entrambi i protagonisti della relazione, che sollecita l’autonomia e la capacità di darsi degli obiettivi autoregolando il proprio processo di studio in sincronia con il proprio stile espressivo.
Contagio emotivo, ascoltare, ascoltarsi, empatia tutto ciò è indispensabile e imprescindibile in una lezione di musica in particolare dove la qualità del sentire i suoni e di come ci sentiamo noi con i suoni è la consapevolezza che ci è utile praticare sia individualmente che collettivamente.
Lezione 4
Star male a scuola
“Perché i ragazzi stanno male?” l’Autrice indica alcune tra le possibili cause fra cui l’inadeguatezza del carico cognitivo sia in termini di quantità che di qualità: troppo spesso si chiede di memorizzare procedure e regole piuttosto che sviluppare competenze individuali e questo in musica accade di frequente: si anticipa la teoria a discapito dell’esperienza diretta.
La ricerca s’interroga da tempo sulla capacità immediata di far musica da un lato e dall’altro sull’acquisizione delle conoscenze utili a leggere e scrivere la musica. Si parla di Apprendimento informale cioè senza insegnamenti specifici ma facendo pratica per mezzo dell’imitazione iniziale per poi, sempre attraverso l’esperienza diretta arrivare alla pratica della lettura e scrittura della musica. Se queste esperienze accadessero almeno qualche volta nelle lezioni di strumento avremo un’occasione per nutrire il piacere di far musica, di comunicare in modo libero, giocoso esprimendo ciascuno la propria musicking ( C. Small 1998) intesa come capacità di partecipare al processo collettivo e interattivo del fare musica.
In tutte le metodologie storiche musicali, dalla Bassi a Gordon, si afferma il valore formativo ed espressivo dell’improvvisazione quale luogo di esperienza libera di ascolto e produzione originale collettiva in assenza di errore e di giudizio. Anche qui l’insegnante sarà un facilitatore in grado di abbandonare l’idea di controllo e di essere partecipe e complice fiducioso delle capacità elaborative del gruppo classe in un clima di “sicurezze senza sicurezze”.
“Quindi un insegnante che vuol far crescere l’intelligenza deve seminare l’intelligenza; se vuol far crescere il benessere, deve seminare il benessere; se vuol far nascere la fiducia , deve seminare la fiducia.” Il problema è saper agire per primi, essere più che conoscere, coltivare la dimensione collettiva per conquistare un sapere condiviso e mediato dal gruppo. Troppo spesso la dimensione intersoggettiva del fare musica non viene curata abbastanza mentre verbalizzare insieme le difficoltà come i successi rappresenta una grande opportunità di scambio e confronto utile, stimolante e motivante allo stesso tempo. Ovviamente si riuscirà a creare un clima di questo tipo se lasciamo fuori dalla porta la competizione e la rivalità fra studenti: vedere l’altro come concorrente innesca un meccanismo di protezione, un atteggiamento difensivo che ben poco a che fare con la collaborazione ed il far musica insieme. Sarà necessario non incentivare la paura ed il giudizio che implica la sensazione di non riuscire, di non essere capace da soli ma al contrario stimolare il senso di appartenenza ad una comunità che insieme studia e cresce l’uno con il sostegno dell’altro.
Così come l’alleanza fra studenti, e quella fra docente-studente, rappresentano un bene troppo prezioso per non prendersene cura e adoperarsi per far si che non venga mai meno nelle nostre lezioni.
Mi piace concludere questo scritto con l’invito, per tutti noi che ci occupiamo di formazione, di mettersi in gioco come dice l’Autrice con il coraggio e con il cuore e di sentirsi parte di una collettività dove ciò che insegniamo è meno di tutto ciò che ogni giorno impariamo dai nostri studenti.

Alessandra Seggi

Recensione Alice Mado Proverbio: Neuroscienze cognitive della musica Il cervello musicale tra arte e scienza Ed Zanichelli 2019 Pg 211

Leggere questo libro è un po’ come avventurarsi in un viaggio dentro l’universo costituito dai diversi meccanismi cerebrali che caratterizzano l’esperienza sonora nella sua complessità.
L’autrice nei tredici capitoli analizza e argomenta i tanti aspetti del far musica attraverso l’elaborazione che ne fa il nostro cervello.
Il saggio è molto affascinante e mi sento di consigliarne lo studio a chiunque si occupi di musica proprio per l ‘importanza che, nella pratica musicale, ha la conoscenza dei meccanismi neurologici che caratterizzano il fare musica stesso.
In questa recensione ho ridotto al minimo i dati squisitamente tecnici e neuroscentifici rimandando allo studio del libro per una consapevolezza più specifica e dettagliata.
Proprio per la complessità e la grande varietà di dati e ricerche presenti nello scritto, ho pensato di stimolare la curiosità verso il testo proponendo una recensione atipica che permetta al lettore di compiere un percorso random tra le diverse parti del libro.
Proverò ad accennare alcuni temi come in un glossario: ogni lettera sarà l’iniziale di un argomento specifico.

A come Ascolto di musica nel neonato: Gli studi hanno dimostrato che l’ascolto del canto materno ha un effetto tranquillizzante per il neonato: regolarizza il suo respiro e riduce il cortisolo (l’ormone dello stress). La musica in generale diventa un tramite, un “contatto extracorporeo tra genitore e bambino soprattutto nei neonati prematuri che si trovano nell’incubatrice privati delle sensazioni tattili olfattive della mamma”. E’ stato dimostrato che l’ascolto di ninna nanne aumenta l’ossigenazione dei piccoli e migliora lo stato fisiologico ed emotivo generale.

B come benessere: Fare musica da adulti o nella terza età può contribuire a contrastare il declino cognitivo, a riabilitare e ad incrementare il benessere generale della persona riducendo le sintomatologie depressive e migliorando la qualità dell’umore. Fare musica e cantare contribuisce favorisce la socializzazione così come il senso di appartenenza ad una comunità migliorando l’autostima e la capacità di esprimersi emotivamente. “L’esercizio musicale migliora la qualità di vita degli anziani a prescindere dalle specifiche capacità cognitive”.

C come Cervello del musicista: Oggi sappiamo che “lo studio precoce e duraturo di uno strumento musicale può produrre cambiamenti macrostrutturali nel volume di determinate strutture del cervello come: il corpo calloso, la corteccia motoria e uditiva e il cervelletto”. L’adattamento cerebrale allo studio musicale segue tre principi che sono:” l’inizio della formazione musicale da piccoli, il tempo dedicato allo studio di pratiche motorie bimanuali complesse e la conseguente modifica delle rappresentazioni delle mappe motorie”.

D come Direzione dello sguardo dei cointerpreti: La direzione degli sguardi e i movimenti oculari sono certamente i mezzi che i musicisti utilizzano per comunicare un’intenzione durante l’atto performativo. “È stato dimostrato che lo spostamento dello sguardo di un’altra persona sposta automaticamente la nostra attenzione verso il punto fissato da quest’ultima”. Ovviamente anche il corpo come la postura contribuiscono ad orientare l’attenzione di chi guarda e tutto questo accade in modo inconsapevole in quanto abituale comportamento di natura sociale. “Questo dato suggerisce l’estrema importanza dei sistemi di rispecchiamento visuomotorio nella coordinazione sociale dell’azione”.

E come Esecuzione meccanica vs espressiva : Quale può essere sul piano oggettivo la differenza tra un’esecuzione meccanica e una espressiva?
Certamente la capacità dell’interprete di modulare, in modo imprevedibile e personale, l’esecuzione proponendo micro varianti agogiche, dinamiche, timbriche, ritmiche, ecc che possano dilatare o contrarre lo spazio temporale. Tutto questo ambito d’azione restituisce all’ascoltatore un’unicità tipicamente umana tanto quanto emozionante e piacevolmente sorprendente che si differenzia moltissimo da un’esecuzione prodotta da un sintetizzatore. “I risultati mostrano una maggiore risposta delle aree emotive del cervello (sistema limbico e paralibico) in risposta alle dinamiche espressive della performance musicale umana, insieme ad attivazioni legate al piacere provato (sistema neurale della ricompensa).”

F come Film e musica: La musica può connotare positivamente o negativamente un personaggio di un film in relazione al brano a cui viene collegato. Questa potenzialità è fortemente utilizzata nella pubblicità per associare un prodotto ad uno spot in grado di comunicare inconsapevolmente attraverso la musica una sensazione positiva e quindi incrementando la fiducia nel brand specifico. L’utilizzo di colonne sonore diverse su uno stesso cortometraggio ha indotto gli spettatori a categorizzare la sequenza d’immagini in generi diversi dal thriller , commedia, horror, ecc.

G come Gesto musicale: Quando si suona uno strumento sono molti i sistemi cerebrali che si attivano: in primo luogo la corteccia motoria e premotoria per la programmazione del gesto, i sistemi di regolazione del feedback uditivo, visivo e propriocettivo oltre ai sistemi attentivi, di memoria e di codifica delle emozioni. Gli studi dimostrano che la pratica musicale modifica i processi di reazione motoria e tutto ciò accade nel tempo e con lo studio passando dal controllo dell’azione volontario ad automatico e viceversa.

H come silenzioso: Ripassare silenziosamente un brano musicale è una pratica che cantanti e strumentisti praticano spesso sia per memorizzare che per preservare la voce da sforzi intensi. Da studi fatti si è indagato sui meccanismi neurali alla base del canto immaginato e del canto reale osservando come il nostro cervello si attiva in modo molto simile nelle due condizioni. I dati emersi confermano che la simulazione mentale dell’esecuzione contribuisce concretamente all’apprendimento motorio similmente alla pratica effettiva anche se, ovviamente in misura meno efficace.

I come Improvvisazione: Lo studio della pratica improvvisativa musicale da parte dei neuroscienziati ha evidenziato che, oltre alle aree dedicate al movimento del suonare inclusa la vista e il tatto, la corteccia frontale inferiore svolge un ruolo primario nella capacità di ideare sequenze originali musicali e anche linguistiche. In generale la capacità di generare idee nuove è in relazione ad una maggiore connettività funzionale tra la corteccia prefrontale inferiore e le altre regioni corticali incluse nei processi immaginativi.

L come lettura a prima vista: L’efficienza della pratica della lettura a prima vista migliora con l’aumentare dell’expertise del musicista “poiché questo è in grado di trasformare in programmi motori un insieme sempre più grande di note, programmandole in modo globale.” Inoltre la pratica accumulata con il proprio strumento unita all’età d’inizio degli studi musicali possono condizionare le capacità di leggere bene a prima vista.

M come memoria: Le diverse memorie sono tutte componenti indispensabili nella pratica musicale a partire dalla memoria ecoica, iconica, procedurale e dichiarativa semantica per recuperare il ricordo di un testo di un brano vocale. Tutti questi diversi tipi di memorie si basano su meccanismi neurali diversi e questo spiega la ragione per cui i malati di Alzheimer mantengono la capacità di suonare uno strumento anche se hanno perduto la capacità di riconoscere come noti brani musicali che conoscevano da tempo(memoria episodica).

N come neuroni: E’ stato dimostrato che nell’uomo esiste un sistema di neuroni specchio riservato ai suoni del linguaggio “(echo mirro system): quando un individuo ascolta stimoli verbali vi sarebbe un’attivazione automatica dei centri motori responsabili dell’emissione dei fonemi presenti nelle parole ascoltate”. Molti studi hanno ormai dimostrato l’esistenza di sistemi multisensoriali che rispondono in termini di codifica simultanea a peculiarità visive e auditive legate all’azione e neuroni audiovisivi che “codificano congiuntamente gli oggetti e il suono da loro prodotto, di importanza fondamentale per l’apprendimento della musica e la regolazione del feedback sensoriale”.

O come orecchio assoluto: L’orecchio assoluto rappresenta la capacità di distinguere con precisione l’altezza esatta di qualsiasi nota senza prendere nessun riferimento esterno sia ascoltando che immaginando di ascoltare un dato suono. Per ragioni di plasticità corticale l’orecchio assoluto può essere acquisito prima dei sette anni d’età esercitandosi sulla capacità di associare la percezione uditiva al nome preciso della nota. Tutto questo ha necessità di una predisposizione genetica a volte fuori dalla normalità come per esempio nelle persone autistiche o negli idiot savant caratterizzati da straordinarie capacità analitiche, di concentrazione focale e forti tratti d’introversione.

P come plasticità: L’esperienza musicale “promuove la neuroplasticità, aumenta la connettività producendo sinaptogenesi”. Come il linguaggio la musica plasma il sistema nervoso per merito anche della sua componente emotiva. Il cervello risponde molto velocemente all’educazione musicale e in particolare “la risposta corticale somatosensoriale è massima quando l’esordio degli studi musicali avviene durante l’infanzia e diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età di esordio, pur essendo sempre maggiore di quella dei non musicisti.”

Q come quadrato: Cosa accade quando il nostro procedere ritmico è quadrato, cioè esatto, a tempo?
Nela percezione del ritmo interno “dal punto di vista neurale, sono coinvolti il talamo, i gangli della base e il cervelletto”. La capacità che abbiamo di sincronizzare dei movimenti sul ritmo che ascoltiamo è data dalla regolarità che ne estraiamo e alla “capacità di andare a tempo e sentire il ritmo contribuirebbero processi di simulazione di movimento periodico che avrebbero luogo nelle aree di pianificazione motoria: essi fornirebbero un segnale neurale che aiuterebbe il sistema uditivo a prevedere l’occorrenza temporale dei battiti imminenti.”

R come ritmo: Quando ascoltiamo o produciamo musica abbiamo tutti la tendenza a muoverci entrando in sincronia con il ritmo magari con il battito del piede o con l’oscillazione della testa e questo perché esiste uno stretto legame tra circuiti uditivi e circuiti motori.
“Il ritmo stimola il movimento agendo non solo sulla corteccia, ma anche sui gangli della base, deputati all’avvio del movimento, traducendosi in un effetto energizzante per l’umore e stimolante il comportamento prosociale”.

S come studio: Lo studio della musica in età adulta è diverso da quello che avviene in età evolutiva sia per ‘inevitabile declino delle abilità cognitive e motorie e per la capacità di essere pronti e reattivi”. Esiste però la possibilità che il cervello avvii processi compensativi per temperare l’invecchiamento cognitivo. La Riserva Cognitiva si caratterizza con” una serie di fattori che hanno dimostrato di contribuire in modo significativo alla riduzione del rischio di soffrire di demenza: il rendimento scolastico, le capacità intellettuali, le interazioni sociali e le attività del tempo libero”. La pratica musicale in particolare, ricopre un ruolo molto importante in questo contesto.

T come tonalità: La musica è in grado di suscitare in chi l’ascolta perturbazioni emotive diverse.
“La capacità di comprendere un tono emotivo di un frammento musicale mostra molte affinità con quella di comprendere il contenuto emotivo delle vocalizzazioni non verbali (pianti, grida, risate, lamenti, gemiti e versi di apprezzamento, sorpresa, richiami, ecc): alcune regioni cerebrali sono specializzate nel loro riconoscimento, differenziandone chiaramente la valenza (positive vs. negative).”Da studi e ricerche compiute in tal senso si ipotizza l’esistenza di un “sistema innato di estrazione di informazioni acustiche spettrali e di categorizzazione emotiva delle stesse.”

U come uditiva: Ognuno di noi conosce cosa significa avere una musica in testa anche se realmente non l’ascoltiamo…suona dentro di noi e non ci lascia più!
L’immaginazione uditiva involontaria e in assenza di stimolo sensoriale reale si chiama in termini tecnici earworm. Quasi sempre si tratta di un frammento breve in genere ripetitivo “( catchy, sticky, cioè appiccicoso) molto ritmato, spesso accompagnato da un slogan verbale o poche parole, meglio se prive di senso.”

V come voce: Tutti immaginiamo che l’organo deputato al canto sia la laringe ma oggi sappiamo che è il cervello alla base della capacità canora in quanto organo di “controllo dell’esecuzione motoria della voce e della fonazione e di elaborazione del feedback uditivo, apprendimento della capacità di cantare, capacità di percepire i suoni e la musica, comprensione ed espressione del linguaggio “ anche dal punto di vista emotivo. L’eccellenza nel canto include la capacità di controllo della voce di tipo motorio, cognitivo –percettivo ed emotivo oltre la capacità di controllo del feedback, codifica propriocettiva e di attenzione alla sequenza motoria.

Z come zona di confort: Uscire dalla nostra zona di confort musicale vuol dire affrontare le incertezze di un ascolto imprevedibile e privo di aspettative. Ognuno ha il suo quoziente di avventurosità musicale che gli permette di uscire dalla sua zona sicura e, come afferma Levitin una nuova musica è come un’amicizia, ci vuole tempo per apprezzarla e a volte non si può fare nulla per accelerare. Sul piano neuronale si dovrà trovare nuovi punti di riferimento così da invocare un nuovo schema cognitivo. Di conseguenza la ripetizione dell’ascolto e l’aumentare della familiarità consentirà a chiunque di prevedere e quindi di confermare le aspettative generando nell’ascoltatore un senso positivo di gratificazione.

Alessandra Seggi

Alice Mado Proverbio è professore associato di Psicobiologia e Psicologia fisiologica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove insegna Neuroscienze cognitive e altri corsi nelle lauree triennali e in quelle magistrali.