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Ascoltare il sonoro

Quando ascoltiamo una musica, eseguiamo un’operazione di astrazione tanto più efficiente quanto più riusciamo a strutturare l’ascolto in configurazioni per noi dotate di senso (incisi ritmici, frammenti melodici ecc). Questi raggruppamenti di note possono essere messi in relazione con configurazioni stilistiche e strutture familiari già presenti nella nostra memoria.  L’ascoltatore ricerca nell’opera elementi per costruire retroazioni e anticipazioni percettive confrontando la musica con i propri modelli preesistenti e verificandone immediatamente l’eventuale familiarità.  Inoltre il modo in cui si ascolta una musica è in stretta relazione con quanto riusciamo a ricordare della musica stessa che stiamo ascoltando. Nelle composizioni di musica contemporanea generalmente il compositore ci invita ad uscire dalla nostra zona musicalmente sicura esplorando un territorio più imprevedibile dove gli schemi di riferimento non sono più quelli a noi familiari. Il disorientamento che si crea è proprio legato alle aspettative disattese che il nostro ascolto produce e questa condizione può generare uno stato di ansia e disagio.

Uscire da una zona musicalmente sicura, perché il brano si allontana dai nostri schemi familiari, è impegnativo e destabilizzante sia sul piano emotivo sia cognitivo, questo prevede un grado di avventurosità e di adattamento all’imprevedibilità che non è uguale per tutti noi. Anche se forse, alle origini della sua storia, l’uomo era per necessità più aperto e libero a tutto il panorama sonoro che lo circondava rispetto a quanto non lo sia oggi.

Possiamo immaginare, però, di recuperare questa qualità di ascolto in cui l’occhio cerca, ma l’orecchio, più accuratamente, trova!

Il sonoro

Nella gerarchia dei sensi, lo status dell’udito è nettamente inferiore a quello della vista ed è proprio seguendo la necessità di recuperare una democrazia dei sensi che qui si sosterrà che conoscere il mondo attraverso il suono è fondamentalmente diverso da conoscere il mondo attraverso la vista.

Per conoscere il mondo attraverso l’orecchio è necessario stabilire una nuova attenzione al sonoro.

Il pensare nell’ambito di una democrazia dei sensi significa semplicemente che nessun senso è privilegiato rispetto agli altri, e che il sonoro svolge un ruolo altrettanto decisivo nella nostra esperienza e comprensione del mondo[1].

Questo il punto iniziale da cui partire per fare un’esperienza in cui bisogna imparare a liberarsi, come sosteneva Varela[2] “… dell’imbottitura che sostiene abitudini e pregiudizi e che di solito ci distanzia dalla nostra esperienza”.

Le stesse abitudini e i pregiudizi di cui parla Varela coinvolgono anche la nostra esperienza sonora, sia quella che riguarda l’attenzione al paesaggio  quotidiano, sia quella relativa al mondo  musicale, compreso l’ambito professionistico.

Fare un’esperienza effettiva dell’ascolto implica fare una cosa straordinariamente difficile: cambiare attitudine, e quindi non solo scegliere di ascoltare la musica o il sonoro ma anche ascoltare il proprio mondo interiore e il mondo sociale accogliendo la situazione altrui mantenendo una reale presenza a sé.

Sintonizzazione empatica

La nostra condizione umana ci predispone alla necessità di stabilire relazioni con l’altro sia per confermare il nostro stesso esistere quanto per attivare una costruzione di sé che non potrebbe essere di natura autosufficiente. L’imitazione è il prerequisito di base per lo sviluppo di abilità sociali come comprendere le emozioni esperite da altri proprio in virtù della capacità di rispecchiamento reciproco.

Oggi sappiamo che il merito di queste straordinarie capacità risiede nel sistema dei neuroni specchio. Tali meccanismi di rispecchiamento sono presenti anche nell’atto musicale in termini di simulazione, come al momento dell’apprendimento di tecniche specifiche tipo diteggiature, ma anche durante l’esecuzione di un brano perché chi ascolta è realmente parte attiva del processo sonoro che si compie nel momento.

La natura intersoggettiva della performance musicale si rivela nella capacità di rappresentazione mimetica di chi ascolta e quindi partecipa, anche involontariamente all’atto musicale nel suo complesso. Le ricerche, condotte da studiosi quali V. Gallese e D. Freedberg  hanno dimostrato che tanto la simulazione incarnata quanto il sistema senso-motorio risultano coinvolti nel riconoscimento delle emozioni e sensazioni espresse dagli altri.

Se questo accade nell’esperienza visiva si potrebbe immaginare uno stesso tipo di rispecchiamento anche nella performance musicale tra interprete ed ascoltatore.

Sentire e ascoltare

L’uomo vuole sentire. O meglio, secondo Tomatis, l’embrione vuole sentire e l’ascolto è la funzione sulla quale si fonda tutta la dinamica umana del linguaggio e della comunicazione, della relazione e dell’evoluzione instaurandosi fin dal principio della vita, nel profondo della notte uterina.

Infatti, già pochi giorni dopo il concepimento, l’embrione comincia a formare gli orecchi. Ricava ancora tutto dalla mamma, ma vuole avere un orecchio suo. Nell’orecchio quindi si sviluppa un piccolo essere per il quale, già nei primi mesi della sua esistenza, la cosa più importante è poter udire da solo.

Anche muovendo da questo dato, Anzieu ha formulato un concetto che definisce un primo stadio di una pur confusa identità, si tratta del concetto di involucro sonoro. Poiché l’esperienza sonora precede nel tempo le altre esperienze si può immaginare che il primo involucro del sé sia di tipo sonoro. Egli parla di pelle auditivo-fonica e della sua funzione primaria di specchio sonoro per gli scambi vocalici con la madre. Quello che la madre trasmette al feto trascende il significato linguistico, a cui il feto resta insensibile.

La comunicazione con la madre s’instaura per conduzione ossea quasi diretta, in una corrispondenza immediata. Ciò che il feto sente meglio è l’aspetto simpatico o antipatico dell’emissione vocale della madre. Non ne comprende il significato semantico ma ne conosce solo l’aspetto empatico. Per questo, una volta nati, non abbiamo bisogno di parole per esprimere uno stato d’animo: dall’intonazione, dal timbro ci rendiamo subito conto se il nostro interlocutore è felice o sta per piangere.

L’orecchio mantiene nel tempo la sua relazione stretta con l’aspetto sonoro del parlato ed anche la postura verticale dell’uomo spinge il suo corpo all’ascolto e lo dispiega come un’antenna. Parlare equivale a suonare il corpo dell’altro. Con l’orecchio, ma anche con la pelle e con tutto il suo potenziale sensoriale[3]. Tomatis stabilisce che la voce riproduce solo quello che l’orecchio è in grado di percepire (effetto Tomatis).

Ancora una volta questo legame tra udito e fonazione dove il primo determina il secondo, ha permesso di provare che gli uomini non sentono allo stesso modo in ogni parte del mondo. “Fra i diversi paesi esistono differenze dovute alla dinamica acustica dell’ambiente aereo. Un cinese non sente allo stesso modo di un africano. Questa è una delle origini delle grandi varietà delle lingue umane”[4].

Paesaggio sonoro

Gli studi sul soundscape, inteso come l’insieme dei suoni che ci circonda e ci condiziona nella nostra quotidianità, sollecitano un’osservazione sulla pervasività del suono nelle nostre vite e negli spazi in cui viviamo.

È indispensabile perciò valorizzare e interpretare criticamente le peculiarità acustiche di un territorio per contribuire a ridare importanza sia alla pratica dell’ascolto sia agli aspetti sociali della produzione sonora, favorendo il processo di appropriazione della nostra identità culturale unitamente alla capacità di comprensione dell’identità altrui.

Il sonoro, soprattutto quello prodotto meccanicamente o elettricamente, accompagna la nostra quotidianità: svegliarsi, camminare, guidare, lavorare sono tutte azioni compiute con la musica o con qualche altro accompagnamento acustico.

Anche tutti gli elettrodomestici funzionano facendo rumore. I progettisti dispiegano molte idee quando si tratta della forma e del colore di questi oggetti, ma non si curano abbastanza dei rumori che producono.

In generale il minimizzare il rumore e massimizzare i suoni non sembra essere il loro pensiero. Eppure potremmo considerare, come un diritto umano, anche il diritto a un paesaggio sonoro salubre e desiderabile.

L’orecchio e l’occhio

Quali relazioni esistono tra l’orecchio e l’occhio?

Quando si pensa a come conosciamo e a cosa conosciamo del mondo immediatamente si presentano alla mente molteplici metafore visive talmente forti che la stessa comprensione è identificata con il vedere.

L’orecchio non ha la possibilità di esplorare una cosa più volte, basti pensare alla velocità e alla singolarità della parola parlata e all’impossibilità di articolarla un’altra volta in modo identico. “Nel suo modo di lavorare, nei suoi meccanismi di decodificazione, l’orecchio deve avere la sicurezza immediata; l’occhio invece, se ritiene di potersi essere sbagliato, può tornare a guardare due o più volte, anzi, la sua stessa possibilità di ingannarsi è diventata per lui un’esperienza talmente ricorrente che si è abituato a esplorare più volte l’oggetto della sua percezione”[5]. L’ascolto induce all’attenzione del presente, dell’adesso, ad una consapevolezza di ogni istante, ad un essere presenti alla nostra vita mentre la stiamo vivendo.

Possiamo chiederci: qual’é il rapporto che la composizione scritta, la composizione a memoria e l’improvvisazione musicale hanno con il mondo dell’udito e con quello della vista?

In un gruppo di musicisti che improvvisano, sarà indispensabile attivare un attento ascolto reciproco in una situazione dove in generale ognuno deve ascoltare più gli altri che se stesso.

Per il musicista che suona la musica già composta, l’informazione primaria è visiva e solo secondariamente sonora. La musica composta è musica trasposta nello spazio visibile, e quello che è visibile tende a seguire il predominio dell’occhio, è molto più facile e veloce guardare lo spartito anziché ascoltare. Nell’esecuzione il rispetto del segno dello spartito stabilisce la giustezza esecutiva, e la giustezza esecutiva è visibile perché il sonoro è ridotto alla “nota”.

Oggi sappiamo che introdurre l’utilizzo della notazione in una fase più avanzata degli studi musicali permettere agli studenti di concentrarsi sullo sviluppo delle immagini uditive e sulle abilità fisiche richieste per suonare uno strumento.

Il suono delle parole

Una cura particolare va riservata alle parole, poiché le parole strutturano la casa dell’essere anche nel porsi in relazione con gli altri.[6] Il suono delle parole ha la capacità di penetrare dentro di noi e di rimuovere la distanza tra esterno e interno: infatti l’orecchio è sempre aperto non si può interrompere l’atto del sentire si può solo smettere di ascoltare. Il suono delle parole è intrinsecamente corporeo, infatti la produzione della voce coinvolge l’apparato respiratorio, dall’addome fino alla testa: il corpo può dar sfogo e riempire all’esterno una tensione interna in tal senso il collegamento tra esterno e interno che si realizza nella voce è insieme un momento produttivo e comunicativo.

Nella voce l’uomo fa esperienza dell’unità acustico-motoria percepita come un unico processo chiuso in sé dove il suono ritorna all’orecchio ascoltando la nostra stessa voce[7]. L’uomo, nel produrre e recepire suoni non si separa dal suo corpo e si conferma come un’unità psico-fisica concreta.

Solo in situazioni limite, come nel riso e nel pianto, il corpo prende l’iniziativa e diventa cassa di risonanza della persona reagendo all’ondata emotiva che lo colpisce. L’uomo, in questi casi, perde il suo abituale controllo su di sé e si consegna ad essa  abbandonandosi al riso o lasciandosi andare al pianto. Il carattere d’immediatezza e spontaneità conferisce al riso e al pianto una veste gestuale e acustica che ci coinvolge e a volte ci contamina.

Questo imprinting sonoro-emotivo, che abbiamo ricevuto e registrato fin dal grembo materno, è un addestramento che non si dimentica tanto che per tutta la vita conserveremo una sensibilità che ci indurrà a piangere o a ridere, ascoltando una voce, indipendentemente dal significato delle parole pronunciate.

Sono spazi che Plessner definisce “senza parola” in quanto dimensioni non verbali, spazi dove la nostra esperienza è plurale come la nostra costituzione è sensibile. Proprio perché l’essere umano nella sua essenza è plurale, le parole che alimentano contesti comunitari sono essenziali.

Il potere delle parole di fare bene o male all’esserci è altissimo, possono procurare sofferenze o essere la medicina per l’anima, possono annichilire il pensiero o fecondare la vita della mente, per questa ragione ci vuole la massima cautela nel loro uso, le parole che si dicono o quelle che si ascoltano possono inquinare e chiudere definitivamente il dialogo anziché tenerlo aperto o allargarlo.

Ascoltare: senso/sensato e senso/sensibile

L’ascolto autentico presuppone un lavoro su di sé senza anticipare ma lasciando che il prendere forma della risposta accada lentamente.

Maria Zambrano indica il silenzio come preambolo a un dialogo aperto all’altro, senza l’ingombro di sé in uno stato di attenzione, d’innocenza e d’ignoranza tale da permettere alla realtà di mostrarsi.

Ma la nostra esperienza di ascolto è generalmente di tipo concettuale: stiamo più spesso sul senso inteso come qualcosa da riconoscere, un “senso sensato” come lo definisce Jean-Luc Nancy. Così l’ascolto scivola spesso nel comprendere, riconoscere più che mantenere un’aderenza fisica e corporea alla vibrazione.

Ascoltando la musica tendenzialmente si favorisce l’idea del “significato musicale” di una composizione o la sua sintassi rispetto alla viva, concreta e vibrante sonorità[8].

Ma tendere l’orecchio implica un impegno, una curiosità, vuol dire ri-direzionare l’attenzione sospendendo i giudizi a favore di un’osservazione attenta del reale. In un ascolto autentico posso, per esempio, riconoscere il passo di una persona che conosco, lo identifico, ma se restassi sul “sensibile” riuscirei a diversificare le qualità dell’incedere, dell’impatto con il pavimento, della velocità, starei così sul sonoro cioè sul “sensibile”.

Il “senso sensibile” è legato alla capacità di percezione corporea con tutta la libertà d’indagare il suono prima del suo riconoscimento.

Chi conosce le costellazioni, per esempio, si vanta delle proprie abilità: guarda un cielo stellato e riconosce tutte le configurazioni ma in realtà la sua è solo un’operazione di riconoscimento condizionato, tanto da non riuscire più a leggere quel cielo in modo altro rispetto a una codifica già stabilita, vedrà sempre le  stesse costellazioni.

Ma se riusciamo a stare sul sensibile possiamo non solo osservare in modo nuovo ma anche muoverci in una “nuova esperienza del sentire che tocca il nostro rapporto con le cose, con il mondo, col corpo prima degli apparati concettuali”[9]. Un nuovo tipo di esperienza del sentire che va la di là del ristretto ambito specialistico musicale o estetico.

L’idea è di collocarsi di fronte al sonoro senza canoni prefissati come un esser-ci nel mondo rivitalizzato da un’esperienza sensoriale molteplice e non vincolata a configurazioni pre-stabilite. Per noi tutti porsi in questa dimensione di ascolto significa liberare i nostri sensi da tutto ciò che impedisce all’atto percettivo e conoscitivo di essere autenticamente ciò che realmente mostra nel momento presente.

Il presente sonoro si esprime in uno spazio-tempo mobile e vibrante che permette la sua stessa risonanza e che produce l’essere ascoltato. In questo senso l’ascolto del sensibile apre il corpo di chi ascolta, risuona in lui ponendo l’individuo in con-divisione fra interno ed esterno. L’ascolto e il suono si mostrano perciò non come veicoli di significati preesistenti ma come spazi dove si costruisce un senso che trova nei suoni vita e forma, corpo e identità.

Si tratta, in conclusione, di ri-trovare le condizioni per ri-attivare, per andare a riprendersi un pezzo di mondo sonoro ascoltando il contesto totale in una democrazia dei sensi dall’io verso il mondo e viceversa.

Bibliografia

Anzieu D., 1994, L’Io-pelle, Borla, Roma.

Berendt J. E., 1999, Il terzo orecchio. Guida all’ascolto dell’armonia universale, Red, Como.

Freedberg D., 2007, Emapatia, movimento ed emozione, in Immagini della Mente, neuroscienze, arte e filosofia, a cura di G. Lucignani e A. Pinotti, Milano, Raffaello Cortina.

Gallese V., Freedberg D., 2008: Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, “Prometeo” Rivista trimestrale di scienza e storia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore.

Mortari L., 2008, A scuola di libertà. Formazione e pensiero autonomo, Raffaello Cortina, Milano.

Nancy J-L., 2002, All’ascolto, Raffaello Cortina, Milano.

Plessner H., 1982: Lachen und Weinen, trad. it. V. Rasini, Il Riso e il Pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano, Milano, Studi Bompiani 2007.

Plessner H., 2007: Studi di estesiologia. L’uomo, i sensi, il suono, trad. it. A cura di A. Ruco, Bologna, Clueb.

Seggi A., 2010, Performance musicale e risonanza empatica in www.alessandraseggi.it

Tomatis A., 2006, Neuf Mois au Paradis. Histoire de la Vie Prenatale, trad. it. L. Merletti, Nove mesi in paradiso, Ibis, Como.

Varela F.J., 1992, Un Know-how per l’etica, Laterza, Roma-Bari.

Zambrano M., Filosofìa y Educaciòn. Manuscritos, 2007, trad. it. L. M. Durante, Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione, Marietti 2008.


[1] Vedi Berendt, 1999.

[2] Varela, 1992, p. 102.

[3] Tomatis, 2006, p. 166.

[4] Ivi p. 22.

[5] Berendt, 1999, p. 19.

[6] Mortari, 2008

[7] Plessner, 2007

[8] Enrica Lisciani Petrini in Jean-Luc Nancy, 2002, p. XVIII.

[9] ivi, p. VII.

Altri contributi

-Intervista  pubblicata:

ALESSANDRA SEGGI: SUONO, MUSICA, DIDATTICA E LINGUAGGIO SONORO. :: KOSCIENZA SOCIALE :: RADIOCHANGO

– Partecipazione in qualità di Relatore al Meeting:

Inquietudini nella modernità 2012 Meeting Internazionale Transdisciplinare 6°ed.

http://www.unifi.it/inqmod/

Arte e Scienza Estetica e verità della materia, 13-16 Dicembre 2012 Firenze

Il segno e il suono delle origini

sabato 15 Dicembre 2012 ore 9-11, Sala del Cenacolo Accademia di Belle Arti di Firenze.


Nuovo Articolo pubblicato sul sito  www.musicheria.net

– Partecipazione in qualità di  Relatore al 5th European Congress for Integrative Medicine (EICEM 2012)  20-22 Settembre 2012 Palazzo dei Congressi- Villa Vittoria Firenze.

Titolo dell’intervento: L’ottimizzazione della performance musicale: esperienze con giovani e professionisti attraverso la pratica del Metodo Rességuier.

www.eicm-congress.org

– Partecipazione in qualità di Relatore al convegno Nati per la Musica nell’abito dell’Europan Jazz Expò, Cagliari 8 Settembre 2012. Titolo dell’intervento: Il Conservatorio di Musica di Cagliari e la promozione della cultura musicale: interazioni con il progetto Nati per la Musica.

– Seminario teorico-pratico presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “ Rinaldo Franci” di Siena : Fare musica con il Metodo Rességuier a cura di Alessandra Seggi e Fabrizio Casti,  5 e 6 Ottobre 2012.

Suonare con il Metodo Rességuier

Francese

Generalmente chi studia musica è uno studente motivato che desidera realizzare il suo sogno di diventare musicista e un interprete con tutta la libertà d’espressione che l’arte, nell’accezione comune, garantisce da sempre. E’ un individuo che vuole svolgere attività significanti, trovare risposte soddisfacenti in un apprendimento attivo ed essere protagonista del suo stesso processo formativo. Uno studente che aspira all’autonomia, alla capacità di “imparare a imparare” comprendendo attraverso il proprio fare, le proprie capacità cognitive ed espressive che andranno palesandosi durante lo studio.
Ma come fa un insegnante, nella pratica, a garantire tutto questo intenzionalmente?
Il primo passo è costituito dalla qualità della relazione, elemento indispensabile per instaurare uno scambio significativo e una comunicazione autentica, una relazione che tra docente e studente dovrebbe essere instaurata da subito e mantenuta per tutta la durata dell’incontro con intensità costante.

In effetti un rapporto che nasce da questi presupposti acquista una valenza di tipo empatico dove entrambi i protagonisti sono coinvolti in un divenire costante che li trasforma continuamente. La relazione empatica determina le condizioni per una forma d’imitazione interiore che non solo consente alla persona di comprendere, ma anche di condividere e partecipare allo stato emotivo dell’altro. La qualità di questo incontro tra studente e docente è l’elemento fondamentale dell’insegnamento tanto da influenzare la capacità di creare un buon ambiente di lavoro e di scambio reciproco.
Il secondo passo scaturisce dalla qualità della relazione che predispone alla cura di sé, intesa come capacità di vivere e abitare il proprio mondo in modo autentico curando il proprio essere se stessi anche nel divenire interiore. L’idea di prendersi cura non è solo riferita a se stessi ma anche all’altro, in termini di una ricezione che facilita lo stare in ascolto tanto dentro di sé quanto fuori contemporaneamente.

Il terzo passo è costituito dall’ascolto, inteso in termini di apertura e accoglienza, che implica un atteggiamento disponibile verso l’altro e una capacità di attendere senza anticipare o pre-giudicare nulla. Si tratta di attivare un’attenzione dentro e fuori di sé che permetta la propria crescita non in un isolamento ma in una costante interazione con l’altro.
Sembra tutto molto scontato e condivisibile ma nella pratica installare una relazione efficace che attivi una disposizione alla cura di sé e una qualità d’ascolto che permetta di liberare la propria forza espressiva è molto difficile.
Il MR si struttura proprio su queste basi. Il MR è finalizzato all’ottimizzazione dell’attitudine posturale, che il singolo individuo assume durante lo svolgimento delle proprie attività quotidiane, durante lo studio o la performance musicale e nella relazione con l’altro.
Il Metodo è stato creato da Jean Paul Rességuier kinesiterapeuta, francese, studioso di osteopatia, Metodo Mézières, medicina e filosofia cinese che nel 1985 stabilisce le basi della Riabilitazione Integrata che oggi porta il suo nome, e comincia ad insegnarlo in Europa e Sudamerica. Le peculiarità del Metodo sono oggi applicate in ambito riabilitativo, ginecologico/ostetrico e psico-socio-educativo.
All’interno di quest’ultimo ambito s’inseriscono le specificità del metodo applicato alla performance musicale.
La caratteristica principale del MR è la relazione che si stabilisce tra docente e studente basata su una continua attenzione che attualizza la relazione stessa. Quest’attitudine dell’insegnante s’impara con un percorso specifico, teorico e pratico, durante i corsi di formazione sul metodo.

In particolare gli strumenti specifici del MR sono:
• Il sostegno attraverso il quale l’insegnante mantiene lo stato di attenzione sulla situazione del momento;
• Il contatto verbale che permette un monitoraggio attraverso domande specifiche sulle modulazioni degli stati fisici e delle dinamiche percettive che risvegliano uno stato di consapevolezza sulle diverse parti del corpo;
• Quando è possibile, si aggiunge il contatto con le mani che permette un’intensificazione della relazione e attiva una percezione multisensoriale che coinvolge l’essere nella sua totalità;
• La Petite gymnastique costituita da una serie di esercizi sull’asse dinamico verticale (torace e addome), che favorisce un’ulteriore amplificazione percettiva e una conseguente naturalezza posturale. La Petite gymnastique inoltre rappresenta una pratica che l’individuo impara a utilizzare in autonomia, e può essere impiegata prima di una performance musicale per ritrovare un proprio riallineamento posturale e psico-fisico generale.

Possiamo dire che nei trattamenti secondo il MR si parte dall’esserci in modo realmente empatico evidenziando così lo stato d’essere del momento e la sensazione generale che si sta vivendo. Consapevolmente si stabilisce un legame poiché si attribuisce all’altro un sentirsi corporeo in tutto analogo al proprio in grado di percepire volontariamente una globalità sensoriale che si presenta momento per momento.
Durante lo svolgersi del trattamento, nel quale è continuamente curata e attualizzata la relazione di prossimità e sono offerti alcuni stimoli percettivi, si assiste ai naturali cambiamenti posturali e neurovegetativi della persona. Tale trasformazione è coscientemente seguita dai protagonisti della relazione che sono al tempo stesso altrettanto partecipi nel seguire il processo intanto che si compie da sé. L’individuo ritrova la propria abilità integrando coscientemente i cambiamenti necessari con un’efficacia negli aggiustamenti che sorprende per la velocità con cui avviene.
Un aspetto importante da evidenziare riguarda lo svolgimento del trattamento, infatti, l’operatore impiega gli strumenti del metodo non seguendo un protocollo prestabilito ma a partire dalle risposte che il soggetto da nel corso del trattamento stesso cosi da aggiustare il suo fare sulla base di come la situazione stessa si presenta.

Perché usare il MR nella performance musicale? La ragione principale riguarda la possibilità di installare da subito una qualità di presenza cosciente e quindi riproducibile consapevolmente. Si tratta di interiorizzare uno strumento che permette un aggiustamento dall’interno liberando una funzionalità che si esprime nel momento ed è coerentemente integrata nella persona. Dal punto di vista posturale il lavoro permette una stabilizzazione centrale che destruttura l’abituale comportamento muscolare liberando l’articolazione del movimento. Inoltre, affinché la correzione prodotta dalla persona si possa consolidare come nuova acquisizione più funzionale rispetto a quella abituale, si lavora in una fase d’integrazione che stabilizza ulteriormente la postura.
Se riflettiamo sul momento in cui si suona in pubblico, possiamo rilevare un piano razionale di pensiero che si confronta con uno stato corporeo che al momento si presenta. La tensione durante un concerto, per esempio, modifica lo stato psicofisico dell’organismo aumentando la frequenza del battito cardiaco, della respirazione, della sudorazione, ecc, e in questi casi il musicista si trova a fronteggiare delle emergenze reali. Per ripristinare uno stato psico fisico ottimale, l’interprete farà ricorso a strategie diverse pur di ottenere un controllo generale tale da assicurare la capacità di dominare tutte le perturbazioni che lo investono.
Spesso però la volontà non basta per permettere una variazione di stato in termini di consapevolezza, possono esserci più cause ad invalidare l’intenzione più determinata come se la ragione sfuggisse ai tentativi di razionalizzazione delle energie messe in azione. Attraverso il MR, il tono intrinseco dei tessuti si riaggiusta e porta con sé la consapevolezza del momento risvegliando il corpo stesso a tutte le sollecitazioni sensoriali che lo attraversano. Non è qualcosa che proviene dall’esterno ma al contrario, una rivitalizzazione tissutale che si attiva dall’interno, cioè è perfettamente integrata nel soggetto che sperimenta una vitalità fisica e un’attitudine posturale che si manifesta senza bisogno che il pensiero intervenga per mantenerla nel tempo.
Si tratta di rendere cosciente un’attenzione allargata e una presenza a se stessi durante la performance musicale avendo così la possibilità di aggiustarsi per rendere più efficace un gesto, un movimento, e il mantenimento della postura necessaria. Così facendo si può suonare in pubblico senza incorrere in sforzi eccessivi, stabilizzandosi durante l’esecuzione e mantenendo un “confort di base” che si attualizza momento per momento.
La nostra capacità di ascoltarsi, di sentire da dentro più che fare o pensare qualcosa come elemento che agisce dall’esterno, rappresenta la possibilità di sentirsi davvero integrati in ciò che si suona e che si produce come atto originale e unico del momento.
Un altro aspetto fondamentale del MR applicato alla performance musicale è la possibilità di liberare uno stato di presenza e consapevolezza costante dell’interprete che produce un generale miglioramento nel monitorare, in tempo reale, il proprio corpo aggiustando di momento in momento gli eventuali squilibri che si possono presentare.
Nella pratica esecutiva si osserva infatti che l’interprete tende a trasferire su un piano gestuale la propria idea sonora. Tali gesti sono anche la causa diretta sia della qualità espressiva sia della qualità sonora nel suo insieme. Quando suonano, gli interpreti utilizzano il loro corpo per interagire costantemente con il loro strumento, operando sempre simultaneamente nella dimensione della produzione e della ricezione.
Dopo aver proposto dei brevi trattamenti a vari musicisti, di cui parlerò, più avanti, si è notato che al momento dell’esecuzione la relazione con il proprio strumento è stata più simbiotica, in contatto diretto e più aderente, la postura ed il tono muscolare hanno subito modifiche, in particolare la posizione è risultata più stabile, comoda, sicura, posata e ben appoggiata.
Inoltre si è verificato un miglioramento globale della qualità musicale, del suono sia nell’attacco, nel vibrato che nel fraseggio dei brani eseguiti.
Altro dato interessante è stato che, alla presenza di qualche imprecisione, l’interprete non sembrava esserne in alcun modo condizionato mantenendo un livello costante di tenuta per tutta la durata dell’interpretazione.
I musicisti hanno sentito di avere più strumenti di controllo della loro abilità come se ci fosse stato uno sblocco che avesse permesso loro di accedere a modalità fisiche e di pensiero che, al momento, non pensavano di possedere.

In generale si è osservato un miglioramento delle capacità strumentali, come se si avesse in potenza una migliore capacità di traduzione di un pensiero (appartenente esclusivamente al musicale) in un gesto (appartenente esclusivamente al piano fisico) che lo rende sonoro e lo attualizza.

ALCUNI ESEMPI CONCRETI

A questo punto vorrei fare degli esempi in grado di fornire elementi più tangibili sul fare musica con il MR. Ho deciso così di lasciare la parola agli studenti quali reali protagonisti dei corsi sul MR che ho tenuto in Conservatorio.
Al termine delle lezioni di Tecniche corporee funzionali (25 ore) inserito nel piano di studi del Biennio Abilitante per la formazione dei docenti e di Tecniche di rilassamento (30 ore), materia prevista per i vari Trienni, entrambe disegnate sul MR applicato alla performance musicale, ho chiesto di produrre un “diario personale” degli incontri svolti. In questa memoria scritta si trattava di rendere evidente il proprio percorso autobiografico dell’esperienza vissuta con tutti gli elementi che ciascuno riteneva essenziale descrivere.
Nel lavoro svolto durante i corsi, sono stati proposti trattamenti a solisti di vari strumenti ed in formazioni cameristiche.
Un’esperienza a parte è stata la pratica d’improvvisazione realizzata con gli studenti sotto la guida del collega Fabrizio Casti, docente di Elementi di composizione che a sua volta ha completato la formazione di “Praticien de la Réhabilitation Intégré selon la Méthode Rességuier”. L’obiettivo di questa esperienza, compiuta in due incontri, era la possibilità di verificare gli effetti del MR applicato alla pratica improvvisativa superando l’interpretazione della pagina scritta e agendo in tempo reale nella costruzione di un pensiero sonoro prodotto collettivamente.
Inoltre alcuni partecipanti ai corsi, essendo a loro volta docenti di strumento in scuole civiche o altre istituzioni, hanno proposto gli elementi del MR ai loro giovani studenti riportando nei diari alcune testimonianze delle pratiche realizzate.
Un ultimo aspetto riguarda le considerazioni scritte a proposito degli effetti fisici prodotti dai trattamenti nello svolgimento delle attività quotidiane.

In riferimento alle pratiche svolte in classe, gli studenti hanno riportato nel loro diario alcune osservazioni rilevate durante i diversi trattamenti o durante esperienze sperimentate sia prima della performance che in altre situazioni. In particolare qui sono riportate riflessioni riguardanti le performance solistiche, in formazioni cameristiche, durante l’improvvisazione, nella pratica dell’insegnamento e in fine in situazioni di vita quotidiana.

Questo breve collage che segue è costituito da frammenti tratti dai diversi elaborati senza nessun tipo d’intervento da parte mia per salvaguardare l’autenticità dei lavori.
Per ragioni di sintesi e per garantire un minimo spazio a ciascun scritto, riporto solo alcuni stralci di una minima parte dei partecipanti ai corsi, per questo mi scuso con gli studenti non citati che comunque sinceramente ringrazio.

PERFORMANCE SOLISTICHE
Mi siedo al pianoforte dopo un trattamento. Tutto diverso. … Stabilità. Le braccia e le gambe sembrano più lunghe e più un tutt’uno con il resto del corpo. Comincio a suonare la polacca in Fa Diesis di Chopin e già dalle prime note sento che è tutto diverso.
Il tempo sembra dilatato. Mi sembra di avere un’infinità di pensieri tra una nota e l’altra e soprattutto la possibilità di scegliere i colori da applicare al mio quadro sonoro con tutta calma. Tempo allargato. Ma c’è anche altro spazio in questi istanti. Sento il mio corpo come mai l’ho sentito, presente, vigile, cosciente… Sento la presenza di chi mi ascolta e la mia presenza tra chi mi ascolta Federico, pianista.

… netta la percezione che ho avuto in termini di miglioramento globale della performance musicale sotto tutti gli aspetti..diversità timbrica; tocco in generale più tranquillo e fluido; sonorità più profonda e “compatta”; sensazione di dilatazione e calma sul tempo che comunque è rimasto agogicamente lo stesso; atteggiamento meno nervoso in presenza di errori momentanei, sia riscontrato a livello sonoro che anche nella maggiore distensione del viso ed una gestualità più disinvolta e più coerente verso l’intento sonoro ricercato. Emanuela, pianista.

… sensazione di benessere generale e di controllo sulle proprie abilità e una maggiore sicurezza a livello fisico e individuale … la respirazione, la coordinazione del movimento e la postura, creano “un’armonizzazione” totale del corpo durante le performance. Valentina, flautista.

E’ stato come se avessi scoperto di avere l’energia in tasca. Se mi metto al piano, mi centro, raccolgo le energie, sono sul qui e ora … suono..tutto molto meno faticoso..come se suonassi in uno stato di dissociazione, assorta in me stessa … il tono dei tessuti aumenta così l’irrorazione sanguigna … Stella, direttore d’orchestra.

La voce, il suo suono, e la sua relazione imprescindibile con il fiato, sono risultati più pieni e omogenei, e il suo controllo morbido e semplice. Alessandro, cantante.

Ho iniziato a suonare con un tempo che da subito ho percepito allargato. Ho sbagliato una terzina iniziale che però, a differenza del solito, non ha pregiudicato il seguito dell’esecuzione. La performance e l’ottimo risultato mi hanno stupito. Andrea, pianista jazz.

Ho provato piacere fisico nel produrre dei suoni, ma non avevo la percezione del “fuori” e il controllo per fare in modo che l’esterno (gli ascoltatori) ricevesse un’esecuzione impeccabile. Ero solo io con il mio corpo, la mia voce e una dimensione di musica nella quale galleggiavo. Tiziana, cantante.

PERFORMANCE CAMERISTICHE
Sono riuscito a rapportarmi con l’altro esecutore in modo più consapevole sia dal punto di vista dinamico che ritmico, creando una sonorità d’insieme più omogenea. In alcuni casi siamo riusciti a ottenere attacchi, ritenuti e accelerandi sincronizzati nonostante io tenessi gli occhi chiusi e quindi fossi “semplicemente” in ascolto.
… la performance ne ha guadagnato, grazie a un ascolto migliore di sé e dell’altro non solo dal punto di vista meramente sonoro ma anche in termini di presenza. Valerio, chitarrista.

Il brano è stato eseguito sino alla fine con un maggior coinvolgimento emotivo sia da parte mia che da parte della flautista che ha percepito il mio benessere e la mia naturalezza nel suonare, lasciandosi totalmente coinvolgere. Ero concentrata non tanto sul brano in sé quanto su ciò che io volevo dal quel brano in quel momento. Ovvero un piacere nel suonarlo che era tutto personale e non aveva nulla a che fare con ciò che c’era scritto in partitura o con l’esame di musica da camera. Le dita assecondavano questo mio benessere: le braccia leggerissime, sentivo il peso direttamente sui polpastrelli come se questi ultimi fossero diventati un tutt’uno con i tasti.
Valentina, pianista.

Dopo l’esecuzione tutte due abbiamo notato come, nonostante gli occhi chiusi, riuscivamo ad attaccare insieme e a prendere gli stessi respiri.
Sabrina, percussionista

IMPROVVISAZIONE
Ho provato un gran senso di coinvolgimento e di attenzione, una capacità di ricevere e trasformare tutti gli stimoli che venivano sia dai miei compagni che dall’ambiente circostante e una gran sensazione di benessere e di presenza.
Andrea, violinista.

Nell’improvvisazione sono stato molto con i suoni, ho percepito le sfumature che l’altro proponeva e tutti abbiamo interagito intrecciandosi in un tutt’uno, il tempo che passava perdeva un po’ di senso, esistevano solo i suoni.
Mattia, chitarrista.

Durante l’improvvisazione vi è stata da parte mia una particolare concentrazione, il suono che producevano gli strumenti sentivo che mi risuonava dentro, percepivo un senso di libertà e una grande emozione.
Francesca, etnomusicologa.

Ogni performance è diversa dall’altra, in quanto composta da differenti elementi. Prendiamo questi diversi elementi allora e facciamoli nostri, come un errore, che può trasformarsi in un’ inaspettata e sorprendente improvvisazione. Aurora, musicista elettronica.

INSEGNAMENTO
Capita con i ragazzi che da poco si sono approcciati alla chitarra, di vedere posture totalmente innaturali che raggiungono mentre cercano, sovraccaricati di informazioni, di seguire tutte le direttive indicategli riguardo al come si tiene e si suona lo strumento … la soluzione invece viene trovata da loro stessi e in maniera totalmente naturale dopo una brevissimo trattamento MR, il loro corpo si adatta tanto da lasciarli un po’ stupiti quando poi riaprono gli occhi e vedono che tengono bene lo strumento nella totale comodità. Mattia, chitarrista.

Ho utilizzato il MR con alcuni miei allievi durante le lezioni di violino: tutti hanno provato una sensazione di rilassatezza ma allo stesso tempo di stato vigile, l’esecuzione musicale è stata molto piacevole e sostenuta da un’elevata concentrazione nella ricerca dell’intonazione e del suono. Maria Grazia, violinista.

… ho avuto modo di applicare il MR durante la pratica di musica d’insieme presso la scuola media dove insegno, in cui dirigevo i ragazzi e mi sono potuta accorgere dei momenti in cui la mia presenza era davvero attiva e catalizzava tutto il gruppo e quanto questo incidesse immediatamente in termini di concentrazione generale e quanto tutto ciò sia fondamentale per prestazioni di questo tipo. Emanuela, pianista.

Ogni alunno ha il suo modo di accostarsi allo strumento e, di conseguenza, ha le sue peculiari difficoltà. Ho integrato il mio metodo di insegnamento con il MR lavorando sul sostegno prima di suonare.
Spesse volte gli alunni iniziano un’esecuzione senza prepararsi, né mentalmente né fisicamente, ma si “buttano” incerti sulla musica, senza avere una reale consapevolezza di ciò che stanno facendo.
Ho cercato di aiutarli a mantenere la concentrazione anche durante un’esecuzione, facendogli sentire fisicamente l’importanza di essere sempre presenti nel presente sonoro sia con la mente che con il corpo. Valerio, chitarrista.

VITA QUOTIDIANA
Quando ho riaperto gli occhi, dopo un trattamento, ho avuto un’esplosione di sensazioni, per un attimo mi sono sentita disorientata poi mi sono resa conto che tutto intorno a me aveva una luce nuova e un profumo nuovo. Per non parlare dello stato d’animo! Sentivo un’euforia quasi fuori luogo, un bisogno incontenibile di sorridere senza motivo. Stavo semplicemente BENE e quella sensazione ho avuto il piacere di tenerla per tutto il pomeriggio. Al lavoro i miei alunni, inconsapevoli dell’accaduto, appena mi hanno vista mi hanno detto “Prof cosa ti è successo? Brilli tutta!!”. A me è venuto da sorridere perché era proprio la sensazione più forte, mi sentivo veramente piena di energia e piena di vigore. Carolina, clarinettista.

… i primi risultati sono stati i seguenti: malgrado la mia mente rifiutasse questa “apparente” immobilità, per contro il mio fisico iniziava a risvegliarsi traendone benefici. La mia respirazione subiva modificazioni, da corta superficiale e affannata diventava più profonda e rilassata, e man mano che il corso procedeva mi accorgevo che nell’arco della giornata aumentava il tempo in cui riuscivo a respirare in modo più profondo.
… mi sentivo più dritta, più aperta nelle spalle e più stabile nel mio appoggio a terra: insomma più in equilibrio. Mi ricordo di questa sensazione perché tornando a casa camminavo più dritta e senza “sbandare”, sensazione fastidiosa che mi capita di avere spesso. Leonarda, pianista.

… ho compreso l’importanza e la bellezza di comunicare col mio corpo, di “sentire” le varie parti del mio corpo ponendovi attenzione, cosa che prima non facevo. Susanna, pianista.

… ne ho tratto delle sensazioni di risveglio sensoriale, senso di leggerezza corporea accompagnata da un raddrizzamento della colonna vertebrale, facendomi camminare a testa alta e soprattutto, cosa che mi ha alquanto sorpreso, un senso di gioia e di allegria. Fabrizio, chitarrista.

Per me è stata un’esperienza preziosa, utile non solo per migliorare la performance musicale, ma da applicare in ogni momento del quotidiano. Mi è stato insegnato a risvegliarmi e a esercitarmi per rimanere cosciente e a non perdermi, a sentire il mio corpo nel mondo, ad ascoltarmi e ad ascoltare coscientemente tutto intorno a me. Tiziana, cantante.

Il lavoro di ricerca sul MR applicato alla performance musicale è iniziato nel 2007, da allora prosegue oltre che presso il Conservatorio di Musica di Cagliari, anche in altre istituzioni in Svizzera e in Belgio. Dal 2012 sono previsti dei corsi musicali di presentazione e specialistici in Italia e in altre città europee.

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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