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Assenza: Riflessioni sparse a fine Anno Accademico

Le lezioni sono terminate e quest’anno, a differenza degli altri anni, è tutto diverso. Il senso di sospensione e di vuoto improvviso che da docente ho sempre percepito in questo periodo, oggi si presenta con una veste nuova se pur consueta. E’ mancato l’impatto fisico che la presenza dell’altro genera, sono mancate le giornate convulse di richieste, di occhi interroganti, di odori che segnano il cambio di stagione, di eccitazione per la fine delle lezioni. Tutto si è svolto filtrato da uno schermo che ha gelato la vibrazione fisica che l’incontro dei corpi genera, un diaframma invisibile eppure concreto, asettico, capace di generare un distanziamento emozionale oltre che fisico. Gli occhi che perdono leggibilità, gesti che non sono accompagnati dal corpo, tutto è alterato in uno spazio temporale strozzato dentro il quale è difficile far passare la naturalezza dello stare insieme. Tutto ciò che la vicinanza dei corpi rende possibile senza sforzo adesso è da cercare, da ricostruire senza conoscerne consapevolmente la natura intima e spontanea che la caratterizza. Così questo nuovo strumento della didattica a distanza ha svelato tutte le sue fragilità non solo per i bambini , per gli adolescenti ma anche per gli adulti e vorrei dire forse per noi anche di più.
Dopo un primo tempo di eccitante entusiasmo per le possibilità che questi strumenti ci davano in quel momento di solitudine forzata, ci siamo progressivamente ingessati dentro rinunciando molto spesso all’energia vitale che ti restituisce la vibrazione della voce altrui sulla tua pelle, l’incalzare di una discussione che ti anima dentro e che si esprime con tutto il corpo, con lo sguardo…questo progressivo appiattimento ha smorzato l’aurosal che naturalmente emerge in presenza lasciando un vuoto personale e collettivo che da sole, le parole, non riescono a colmare.
E proprio le parole che così tanto fanno parte delle mie lezioni di pedagogia musicale adesso risuonano in una collettività virtuale che si mostra in piccole finestre appiattite degli schermi e mi chiedo se saranno ancora capaci di aprire squarci, sguardi nuovi, e se trasmetteranno ancora l’entusiasmo e l’amore per il sapere e per la bellezza di questo lavoro.
Tutti ci siamo sforzati di far vivere i nostri interventi, le nostre istanze, le domande con un impegno lodevole ma che, almeno in me, ha lasciato un senso di assenza, di vuoto atipico con il quale fare i conti e riflettere allo stesso tempo.
Come e cosa è cambiato in questi mesi nel rapporto con gli studenti? Come sono cambiati i rapporti fra di noi e fra di loro? Come e cosa potremo ripercorrere quando e se ci rivedremo insieme? A quali domande daremo risposte? E quanti interrogativi resteranno sospesi?
Tutto questo disagio è stato comune nei vari ordini di scuole ma nei Conservatori di musica a mio parere ha subito una risonanza più profonda e sorda chiusa ancora di più nell’ isolamento di ciascuno, nell’ego centratura solitaria che lo studio musicale nutre da sempre. Ciascuno impegnato a sistemare le proprie difficoltà che questo isolamento ha generato e tutti insieme, negli incontri sulle diverse piattaforme, a cercare in tutti i modi di dar vita ad una “normalità” sapendo fin troppo bene che non poteva esserlo e in questo gioco ognuno ha cercato una propria via di uscita che in qualche modo potesse restituire la legittimità consueta e condivisa all’interno dei diversi ruoli tra studenti e docente. Ma eravamo tutti noi a non essere più quelli di prima… eppure, come in tutti i giochi di regole sapevamo che era importante confermare le reciproche aspettative per mantenere almeno qualcosa di saldo e certo nonostante la navigazione nella vita personale di ognuno emotivamente incerta e a volte confusa. Certo è stato uno sforzo lodevole ma sempre di sforzo si parla e come questo impegno abbia toccato la sensibilità dei singoli è difficile da dire così come quanto ne siamo rimasti soddisfatti o addirittura intimamente rigenerati. In tutto questo la musica ha segnato ancor di più il confine fra le persone assicurando quello spazio di solitudine e di autoreferenzialità che in modi diversi caratterizza il nostro essere musicisti. Uno spazio senza parole per sua natura intrinseca dove si può dar vita autonomamente a modi nuovi nel silenzio connotato dei suoni che siamo in grado di generare. In questa bolla di autocompiacimento può non esserci lo spazio per la relazione con l’altro, per l’interazione che smuove e scuote le certezze personali. Tutto il mio lavoro come docente è proprio quello di sollecitare una sensibilità che permetta di vedere il nesso profondo tra la qualità delle relazioni interpersonali nel gruppo e l’apprendimento personale e collettivo. Le influenze reciproche sia in termini di scambi e legami fra i protagonisti dell’azione didattica quanto creato dal clima e dalla qualità delle relazioni e interazioni reciproche capaci di generare delle trasformazioni profonde.
Ma in questa condizione di lezioni “in vitro” cosa sarà passato di tutto questo?
Il proprio turbamento emotivo quanto è stato in grado di scuotere relativamente al piacere di condividere insieme anche se a distanza ? Quante fragilità emotive hanno minato il ben-essere che in ogni incontro cercavo di creare? Cosa può davvero un insegnante, in queste condizioni, nella relazione con i suo studenti adulti?
In tutte le parole e considerazioni che sono state scritte in questo periodo forse poche riflessioni si sono spese dentro al mondo degli adulti che studiano e che l’hanno fatto in modalità a distanza.
Come i bambini e gli adolescenti gli adulti hanno affrontato la situazione con preoccupazioni nascoste, mostrando a sé e agli altri una sicurezza spesso fragile dove sono emerse, a volte senza controllo volontario, tutte le fragilità personali. Gli adulti che studiano hanno, come i giovani , il bisogno d’incontrare sé stessi e questo incontro accade nel momento in cui l’altro ti rispecchia il positivo che c’è, che crede in te e che fa il tifo per te. Costruire una consapevolezza che permetta di percepire la presenza di tutto ciò che è utile per affrontare le nuove sfide del futuro senza paura in un’apertura serena e stimolante verso il nuovo. Questa continua rigenerazione del sé accade, con tempistiche individuali, nella relazione interpersonale tra docente e studenti producendo una trasformazione continua che si genera nel corpo perché la didattica autentica è sempre attraversata dal corpo, dall’energia capace di reinventare gli oggetti del sapere. Certamente nei nostri incontri a distanza il corpo è stato il grande assente, escluso forzatamente e mi chiedo: se il corpo è un’unità stretta con il pensiero ed il sentire, se la conoscenza è un’azione emotivamente connotata, cosa resterà di tutto questo nella memoria dei nostri tessuti ?

Alessandra Seggi

Recensione: LA TERAPIA DEL RESPIRO di Silvia Bifferale

La terapia del respiro di Silvia Biferale è un libro che si snoda dentro i labirinti del nostro sentire più intimo, nascosto e silenzioso.
Il corpo mosso dal respiro è il protagonista di queste pagine osservato sia nell’ambito terapeutico sia in quello espressivo musicale. Il movimento del respiro diventa strumento e materia della conoscenza di sé oltre che esperienza di cura del corpo stesso.
Il libro è rivolto a terapeuti, cantanti, musicisti e professionisti della voce ma, parlando di un aspetto così intimo e naturale come il respiro, a chiunque interessato alle valenze profonde che il respiro può dischiudere in ciascuno di noi.
Il libro si articola in quattro parti, dove nelle prime due si affronta il tema del movimento del respiro sul versante fisiologico sulle funzioni corporee come l’appoggio, il sostegno e la postura; nella terza parte si analizza il ruolo del respiro riguardo al suono e alla voce viaggiando nella complessità delle articolazioni di cui è costituita la complessità dell’espressione di sé; nella quarta parte infine il respiro fa da guida principale nella strutturazione dei processi di apprendimento musicale a partire dalla primissima infanzia.
Il corpo è sempre il protagonista, come indicano le recenti ricerche neuroscentifiche e il respiro prepara alla recettività che precede ogni atto creativo stabilendo un contatto tra il musicista e la musica ancor prima che questa sia udibile.
Si parla di multisensorialità come un sentire globale che non include solo l’ascolto ma tutti i sensi e le percezioni corporee emergenti: “sentire” e “sentirsi sentire” come processo di strutturazione consapevole del sé corporeo.
Il movimento del respiro in tutto questo, scandisce il tempo della presenza del suono durante il silenzio così che l’ascolto diventa l’altro protagonista di queste pagine con tutte le proprie valenze terapeutiche, espressive proprie del silenzio.
Quest’ affascinante libro rappresenta un possibile cammino interiore nella relazione d’ascolto prima che l’idea diventi suono e intensione gestuale, un silenzio non privo di vita attraverso il quale il corpo si prepara ad accogliere e ad esprimere il suono stesso.
In un tempo come il nostro dove facilmente si smarriscono il senso e il valore del proprio sentire nel “qui e ora” ritornare all’ascolto del respiro rappresenta la possibilità di sintonizzarsi intimamente con questo specifico movimento continuo cogliendone tutte le sfumature e le risonanze.
Ecco perché suggerisco la lettura di questo libro che ci permette di uscire dal torpore di un ascolto personale e musicale spesso tecnicistico e distante dal sentire profondo e capace di preparare il corpo stesso a percepire e a percepirsi in un udibile intimo e profondamente vitale.
Alessandra Seggi
SILVIA BIFERALE è terapista della riabilitazione e specializzata come terapeuta del respiro secondo la teoria di Ilse Middendorf oltre che responsabile per l’Italia della formazione europea Atem-Tonus-Ton, e didatta della Audiation Institute sull’apprendimento musicale secondo la Music LearningTheory di E. Gordon
La terapia del respiro, Ed. Astrolabio, 2014, Roma