Archivio mensile:Marzo 2011

La performance musicale secondo il Metodo Rességuier

La performance musicale secondo il Metodo Rességuier[1]

di Alessandra Seggi[2]

La pratica del suonare

Lo studio di uno strumento così come la pratica musicale in genere, porta l’individuo in una condizione di grande aderenza a sé e al proprio sentire. Questo accade in particolare in quei momenti in cui riusciamo a sentire con chiarezza tutte le percezioni che si mostrano nel qui e ora del momento. Sono quegli “stati di grazia” in cui ci sentiamo tutt’uno con il nostro strumento, quando tutto è funzionale, coerente, perfettamente integrato in noi e possiamo dire: “Oggi ho suonato benissimo!”. Sappiamo però che non sempre si ritrova quella combinazione magica, ci sfugge qualcosa, c’è una difficoltà nel ricreare volontariamente e nel rendere ripetibile quella condizione così ideale.

Riflettendo su questi momenti “magici” ci accorgiamo che sono il risultato di uno stato di “presenza” molto efficiente, le abilità tecniche sono le stesse ma è come se il tempo si fermasse e ampliasse i suoi confini, si mostra un’attenzione e una capacità di ascolto allargate che permettono un contatto speciale con lo strumento in una naturale presenza nell’immediato. Lo strumentista è in uno stato di consapevolezza, in piena coscienza, e questo produce una coerenza perfettamente integrata nell’individuo in quel momento specifico. In altri termini lo strumentista coscientizza una qualità di presenza che rinnova continuamente nel qui e ora.

Nella pratica musicale agire in questa direzione significa abbandonare gli schemi abituali, i protocolli standardizzati lasciandosi disarmare dal momento presente in un costante ri-aggiustamento psico-fisico naturalmente integrato in noi.

Spesso proprio i protocolli delle prassi esecutive sono le certezze alle quali facciamo ricorso in virtù della sicurezza che ci restituiscono. Suonare come da norma e stile consolidato al riparo da sorprese inaspettate cristallizza modalità esecutive e routine musicali.

Anche per esorcizzare la paura a volte ricorriamo a rituali che proprio perché ricorrenti e ripetitivi ci tranquillizzano. Chi indossa qualcosa di particolare per i concerti importanti, chi prima di suonare visualizza qualcosa di rilassante, chi prende sostanze varie per calmare l’ansia e chi invece trova altri espedienti.

Sono tutti escamotage che ci rendono fragili perché in quei momenti non siamo più noi con la nostra “presenza consapevole” ma siamo in una modalità meccanica che procede per inerzia. Siamo cioè in uno stato re-attivo, dove solo grazie ad una stimolazione esterna ci sentiamo capaci di agire, non è una forza che nasce dal nostro intimo ma è qualcosa che ci autorizza dall’esterno.

Eppure quante volte ciascuno di noi si è trovato in situazioni simili prima di una performance importante?

Naturalmente conosciamo anche il suo contrario almeno quando uno “stato di grazia” è con noi. In quei casi così esclusivi i si manifesta uno stato d’essere che ci mantiene vigili nel seguire il flusso dei suoni e dei pensieri musicali in una coerenza che si manifesta senza alcuno sforzo rinnovandosi costantemente ad ogni istante. La performance si realizza naturalmente, in un modo sorprendentemente semplice e consequenziale.

Possiamo chiederci: in che modo installare questa qualità di presenza consapevolmente?

Come sappiamo la volontà non basta per permettere una variazione di stato in termini di consapevolezza, possono esserci più cause ad invalidare l’intenzione più determinata come se la ragione sfuggisse ai tentativi di ottimizzazione. In questo senso il Metodo Rességuier pone in primo piano il corpo ed il suo proprio sentire interiore, il tono intrinseco dei tessuti si riaggiusta e porta con sé la consapevolezza del momento risvegliando il “corpo sensibile” a tutte le sollecitazioni sensoriali che lo attraversano. Non è qualcosa che proviene dall’esterno ma al contrario una rivitalizzazione tissutale che si attiva dall’interno. In questo senso è perfettamente integrata nel soggetto che sperimenta una vitalità fisica ed un’attitudine posturale che si manifesta senza bisogno che il pensiero intervenga per mantenerla nel tempo.

Insegnamento e relazione

La capacità di risvegliare il “corpo sensibile” è una capacità che va stimolata fin dall’inizio degli studi musicali e lo strumento principale per farlo è la relazione empatica. Nella pratica dell’insegnamento c’è, infatti, un relazionarsi continuo tra docente e studente che si muove tra un coinvolgimento eccessivo ed un’impersonalità che fugge il confronto. Entrambi i protagonisti della relazione vivono costantemente uno stato emotivo in continua mutazione anche se non sempre, da una parte e dall’altra, ce n’è una reale consapevolezza. L’agire dell’insegnante si misura con la realtà del momento, con il sentire proprio e altrui in un divenire che inficia la possibilità di prefigurare con assoluta certezza una proposta definitiva in anticipo. Entrambi i protagonisti della relazione educativa sono coinvolti in un processo di trasformazione che investe docente e studente in un vissuto permeato di esperienze comuni.

Per “essere con l’altro” è necessario rinunciare alle certezze di un protocollo stabilito per porsi di fronte all’altrui in un incontro autentico e reciproco. La presenza dell’altro è intesa come presenza viva e continuamente attualizzata. In questo modo lo stare di fronte all’altro non è privo di avvenimenti e ciascuno sarà segnato dalla presenza dell’altro, dal proprio e altrui sentire corporeo nella relazione che si crea. “L’emozione dell’incontro è questo: lo sconvolgimento, lo stupore, la sorpresa derivanti dal nascere di una ricerca destata dall’apparizione dell’altro[3], con la sua singolarità e con tutto il turbamento che questo contatto impone. Sarà sempre e solo il presente a disegnare lo scenario reale, un presente che ci chiede costantemente di essere nel qui e ora senza proiezioni, pregiudizi o pre-orientamenti.

Alla luce di queste considerazioni l’obiettivo primario di un processo formativo non potrà prescindere dalla qualità della relazione che si stabilisce tra studente e docente. Una relazione che si muove nel tempo e che mantiene una cura sul proprio e altrui divenire. Entrambi i protagonisti della relazione potranno nutrire il proprio sentimento di esistere confermando l’individuale unicità ed originale presenza nel proprio tempo vissuto.

“Se dunque educare significa coltivare nell’altro la capacità e la passione di dare forma a sé stessi, cioè di praticare l’autoformazione, le direzioni di senso per inverare tale processo consistono nello sviluppare l’orientamento etico dell’aver cura dell’esistenza e nell’apprendere le tecniche che consentono di dare forma al proprio esserci”[4].

Essere nel qui e ora significa anche una presenza a sé che si mostra in una coscienza del proprio corpo sensibile capace non solo di sentirsi consapevolmente ma anche di accogliere tutte le stimolazioni sensoriali endogene ed esogene. In questa qualità di attenzione cristallina e costantemente rinnovata tutti gli schemi abituali saranno neutralizzati.

Nel coltivare tale stato si mostra un’efficienza ed una creatività che si libera proprio perché siamo in un agire consapevole a partire da noi e la funzionalità di tutto l’organismo è da subito attivata. Con questa base potremo agire, suonare liberando un’efficienza reale e coerente, in questo senso tale stato non è un obiettivo da raggiungere ma è lo stato di base.

Nel MR si lavora attraverso un insieme strutturato di pratiche tese ad instaurare una relazione in prima persona tanto da ottimizzare le possibilità comunicative e relazionali considerando  l’individuo nella sua assoluta unicità[5].

La relazione di cui si parla è una relazione empatica capace di comprendere le emozioni che l’altro sta vivendo come un sentire presente e non come un contenuto. E’ un “sentire dall’interno ed un sentire all’unisono” come scriveva Edith Stein capace di metterci in relazione con l’altro tanto da comprendere implicitamente le sensazioni esperite dall’altro. Nella relazione empatica si crea un rovesciamento dell’abituale rivolgersi a ciò che è fuori di noi e si attiva una trasformazione soggettiva proprio perché si accoglie intimamente l’emozione dell’altro in quanto sentire altrui. “Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui: si rende evidente a me stessa che anch’io sono altra.”[6] Così l’empatia e la percezione endogena di sé agiscono l’una accanto all’altra permettendo un’apertura dello sguardo non solo a sé e all’altro ma anche a tutto ciò che ci circonda.

Nel MR la relazione con l’altro riveste un’importanza davvero fondamentale come lo stesso Jean Paul Rességuier afferma: “Ciascun professionista del campo della salute o dell’educazione è prima di tutto un professionista della relazione”[7]. La qualità della relazione si mostra nella capacità di stabilire un legame che fa nascere una familiarità ed allo stesso tempo un’ estraneità, dove si genera un’onda di ritorno che conferma entrambi i protagonisti nella loro unicità.

Nella pratica musicale, e nell’insegnamento strumentale in particolare, ci troviamo ad agire in una relazione di prossimità in cui il contatto fisico è parte integrante e spesso indispensabile. Ma quante volte capita che non sentiamo la presenza del nostro insegnante di strumento! E’ lì ma è come non ci fosse, oppure è lì ma in uno stato giudicante, in una proiezione più sul “come si dovrebbe fare” che non sul come e cosa realmente si sta ascoltando in quel preciso momento. Viceversa quante volte da insegnanti ci troviamo a vestire il ruolo di docente che procede nel proprio lavoro seguendo un protocollo spesso consolidato dall’esperienza che si attiva come un automatismo del quale spesso non siamo del tutto consapevoli? E potremmo dire in quante occasioni quest’abito mentale ci allontana dalla realtà che si mostra? E come il pre-giudizio compromette un ascolto libero e non condizionato magari proprio dello studente che abbiamo catalogato come “dotato” o al contrario “non dotato”? Sono meccanismi che conosciamo o per averli subiti da studenti o per averli attivati, magari non coscientemente, come insegnanti. Certamente il risultato che tutto questo produce è un’insoddisfazione che ci proietta costantemente nella ricerca di qualcosa da raggiungere, di un obiettivo da conquistare con sforzo e sacrificio.

Esperienze con musicisti

Il lavoro con i musicisti, che qui si descrive, si riferisce a diverse esperienze realizzate nel 2010 presso il Conservatorio Statale di Musica di Cagliari con musicisti professionisti, alcuni colleghi interessati e gli studenti del corso di Tecniche corporee funzionali (25 ore) inserito nel piano di studi del Biennio abilitante per la formazione dei docenti tenuto dalla scrivente sul MR applicato alla performance musicale.

L’attività proposta ha coinvolto musicisti professionisti che a turno hanno eseguito un brano allo strumento della durata di 2 minuti circa di fronte ai compagni che seguivano in veste di pubblico. Dopo l’esecuzione allo strumentista è stato proposto un breve trattamento della durata di circa 10/15 minuti. Al termine dell’esperienza lo strumentista ha nuovamente eseguito, per la seconda volta, lo stesso brano musicale alla presenza dello stesso pubblico. Gli ascoltatori hanno compilato un test di ascolto per la prima e per la seconda performance.

Ad una seconda attività hanno invece partecipato due colleghi che suonano in duo. Rispetto alla precedente procedura, attuata con gli studenti, ci sono state due modifiche: il duo suonava brani da concerto ed il trattamento è stato proposto simultaneamente ad entrambi gli interpreti.

Questionario relativo alle consegne di ascolto con la sintesi delle risposte date
Domande sull’esecuzione strumentale Performance 1 Performance 2
1)      Come potresti definire il suono di X? duro, chiuso, impacciato, sordo, poco vibrato, preciso, fisso, un po’ ingolato, sfuggente, meccanico, aggressivo morbido, aperto, pastoso, brillante, elastico, pulito, vibrato, meno aggressivo, più bello
2)      C’era tono, energia nel suono di X? si, a volte utilizzata più nel movimento che nel suono; un po’ artificiale, eccessiva pressione maggior controllo, più morbidezza e naturalezza nel tono
3)      Ascoltando ad occhi chiusi, come definiresti il suono di X? trattenuto, un po’ calante, insicuro disteso, maggiori variazioni dinamiche, definito, sicuro, definito
4)      L’attacco del suono è stato preciso? non sempre è stato pulito e preciso. più preciso
5)      Come potresti descrivere la relazione di X con il suo strumento durante l’esecuzione? faticosa, timorosa, stabile, simbiotica, sincronizzata, in contatto con lo strumento
6)      C’è stata aderenza tra X ed il suo strumento? un po’ bloccato, non molto si, maggiore rispetto alla prima esecuzione,
7)      Puoi descrivere la postura del corpo di X? rigida, sbilanciata, chiusa, tesa, raccolta, ferma rilassata, disinvolta, eretta, sicura, ben appoggiata
8)       C’era tono nel corpo di X? poco tonico, più rigidità che tono, più tono, più energia,
9)      La posizione assunta da X durante la performance era stabile? non sempre, ferma ma non appoggiata più stabile, comoda,
10)    In che relazione era la postura di X con lo spazio circostante? non sempre a proprio agio, occupava molto spazio, occupava meno spazio, maggior agio, poco immerso nello spazio intorno,
11)    C’è stata aderenza fisica di X durante la performance? E se si, da cosa puoi dire di averlo rilevato? si, dalla posizione del corpo, corrispondenza tra energia corporea e sonora, maggior aderenza rilevabile dalla postura del corpo, maggior corrispondenza tra energia corporea ed energia sonora prodotta, migliore qualità del suono,
12)    Hai notato se il tono muscolare ha subito variazioni durante l’esecuzione? in relazione all’andamento lento/veloce del brano, teso, più costante ed energico durante tutta l’esecuzione, più stabile e posato,
13)     Se si, in quali momenti? in relazione alla velocità del brano, più omogeneo durante tutto il brano
14)    Quali comportamenti hai osservato che te lo fanno ipotizzare? i cambi di postura, movimento delle spalle, spalle rilassate, corpo sincronizzato con quello dello strumento,
15)    Hai avuto l’impressione che l’esecutore mettesse in atto strategie di autoregolazione dell’energia durante l’esecuzione del brano? alcune volte preparandosi al cambio di velocità del brano,
16)     Se si, in quali momento? quando c’è un cambio di velocità, all’ attacco del brano, preparandosi al cambio di velocità del brano,
17)    Quali comportamenti hai osservato che te lo fanno ipotizzare? alcuni irrigidimenti delle spalle, modifiche nella postura occhi socchiusi, movimento sullo strumento prima di attaccare,
18)    Hai avuto l’impressione che l’esecutore si stesse auto-valutando (in modo positivo o negativo)durante l’esecuzione? a volte no perché estraneo a ciò che c’era intorno, disinvolto,
19)    Se si, quali comportamenti hai osservato che te lo fanno ipotizzare? espressione del viso, no
20)    Se hai notato comportamenti di auto-valutazione negativa durante l’esecuzione:vin seguito a questi, hai notato cambiamenti particolari nell’esecuzione? no, a volte no
21)    Se hai notato comportamenti di auto-valutazione positiva durante l’esecuzione: in seguito a questi, hai notato cambiamenti particolari nell’esecuzione? gradualmente l’esecuzione si stabilizzava no
22)     Come vedevi il viso di X? a momenti rilassato, a momenti preoccupato, attento, teso concentrato, rilassato, presente
23)    Come potresti descrivere lo sguardo di X? concentrato, preoccupato, concentrato ed espressivo, stabile, concentrato sulla musica, non curante dell’esterno, ritorno a sé,
24)    Ci sono stati momenti di tensione in X rilevabili dal viso? a volte no
25)    Ci sono stati momenti di tensione in X rilevabili da altri elementi fisici? tra un tempo ed un altro del brano il corpo asseconda la performance con naturalezza,
26)     Altro i movimenti erano più lenti e controllati, anche in presenza di errori l’esecutore non sembra condizionato da questi,

Attraverso l’ascolto e l’osservazione si sono rilevati degli effetti evidenti prodotti dal trattamento come il miglioramento delle capacità di attenzione e concentrazione, si è osservata la trasparenza dell’atto comunicativo che ha presupposto una qualità di presenza del soggetto nell’agire musicale sia sul piano mentale che fisico.

Durante la pratica esecutiva, infatti, l’interprete tende a trasferire, anche inconsapevolmente, su un piano gestuale un’idea sonora. Attraverso l’atto esecutivo rende leggibili le relazioni che si stabiliscono all’interno di questa idea. Tali atti sono anche la causa diretta sia della qualità espressiva sia della qualità sonora del risultato acustico nel suo insieme. L’esecuzione è così il risultato di un’interazione tra un piano di pensiero (ciò che si vuole ottenere) ed un sistema flessibile di programmazione gestuale (atta ad ottenerlo). Grazie a questa reciprocità l’interprete può fare degli aggiustamenti in tempo reale sull’intenzionalità espressiva specifica, scegliendo così come, quando ed in che modo controllare la propria prestazione. Quando suonano, i musicisti utilizzano il loro corpo per interagire costantemente con il loro strumento, operando sempre simultaneamente nella dimensione della produzione e della ricezione. Inoltre, nella performance musicale ci sono gesti produttori, propri per produrre il suono, e gesti d’accompagnamento che coinvolgono tutto il corpo e sono movimenti apparentemente meno necessari ma in realtà altrettanto funzionali al risultato sonoro. Questi riguardano la postura del musicista, la mimica facciale, e tutti quei micro gesti che apparentemente non hanno una risultante sonora. Grazie a queste manifestazioni fisiche si può analizzare il contenuto espressivo attraverso indicatori osservabili realmente presenti nell’esecuzione dal vivo.

Dall’analisi di questi indicatori si è notato un miglioramento globale della qualità musicale nella seconda performance. Questo miglioramento si è mostrato in tutti gli aspetti puntualizzati nel test ed ha riguardato tutti gli interpreti. Complessivamente è notevolmente cambiata la qualità del suono sia nell’attacco, nel vibrato che nel fraseggio di tutto il brano eseguito. Il suono è stato più morbido, brillante, pastoso, pulito, energico, naturale, con maggiori escursioni dinamiche. La relazione con il proprio strumento è stata più simbiotica, in contatto diretto e più aderente. La postura ed il tono muscolare hanno subito modifiche rispetto alla prima performance, in particolare la posizione assunta durante la seconda esecuzione è risultata più stabile, comoda, sicura, posata e ben appoggiata. Nell’interpretazione è emerso uno stato di presenza costante che ha prodotto una concatenazione più fluida ed omogenea tra i vari episodi musicali. Per le stesse ragioni non è stato rilevato un atto d’autovalutazione da parte del musicista in quanto concentrato sull’ascolto di sé più che a ciò che c’era intorno: l’esecuzione è stata più disinvolta, sicura e presente. Si è notato come, nella seconda performance, i movimenti erano più lenti e controllati ed anche come, alla presenza di qualche imprecisione, l’interprete non sembrava esserne in alcun modo condizionato mantenendo un livello costante di tenuta per tutta la durata dell’interpretazione.

In generale si è osservato un miglioramento delle capacità strumentali, come se si avesse in potenza una migliore capacità di traduzione di un pensiero (appartenente esclusivamente al musicale) in un gesto (appartenente esclusivamente al piano fisico) che lo rende sonoro e lo attualizza.

Lo studio ha rilevato dei miglioramenti nella performance musicale producendo anche uno stato di benessere generalizzato, di maggior presenza, di sicurezza a livello fisico ed individuale. I musicisti hanno sentito di avere più strumenti di controllo della loro abilità come se ci fosse stato uno sblocco che gli avesse permesso di accedere a modalità fisiche e di pensiero che non pensavano di possedere. Si è concretizzato un ritorno dell’individuo a sé, realizzando un contatto intimo e profondo senza per questo chiudersi all’esterno. Tutto ciò ha reso possibile lo stabilirsi di uno stato di presenza alla situazione reale, ed allo stesso tempo pronto all’incontro con gli altri.

Questo nuovo stato d’essere ha rianimato la curiosità, il desiderio di conoscere aspetti nuovi all’interno di una consuetudine musicale ormai nota e familiare come suonare in pubblico. Come sostiene la Sclavi “Lo “stupore”(ed emozioni analoghe) se preso sul serio ci induce a riflettere sui cambiamenti inattesi, non previsti, di scenari, ci costringe a rendere esplicite le aspettative profonde (le premesse implicite) che davamo per scontate.”[8] Suonare è diventato un nuovo modo di ascoltarsi, più interiore, dove lo strumento si è trasformato in naturale prolungamento dell’individuo ed il suono è diventato l’elemento che ha dato voce al rinnovato ordine. E, come affermava Varela  “E’ nei momenti del breakdown, in altre parole quando non siamo esperti del nostro micro-mondo, che riflettiamo e analizziamo, cioè diventiamo come dei principianti che cercano di arrivare a svolgere con disinvoltura il compito del momento.” [9]

L’applicazione del MR ha consentito un miglioramento della qualità di presenza nella performance musicale sviluppando la capacità di una maggiore e consapevole autonomia nel monitorare in tempo reale il proprio corpo aggiustando di momento in momento, e quindi anche durante le esecuzioni, gli eventuali squilibri che si sarebbero potuti presentare. Il percorso che, alla luce di queste considerazioni si può tracciare, potrà condurre l’interprete a sviluppare una propria potenzialità ed autodeterminazione cosciente quanto libera.

Come detto questa migliore capacità di traduzione di un pensiero musicale in un gesto fisico potrebbe costituire la base per una nuova didattica strumentale in cui le competenze musicali di un individuo, sintetizzate in un’idea, trovano nello stesso individuo il gesto più appropriato alla sua sonorizzazione. In questa traduzione il MR sembra facilitare l’esperienza diretta del suonare a sostegno dell’idea astratta che lo motiva. Si tratta d’integrare alla didattica strumentale una modalità che valorizzi a pieno la musicalità individuale legata al proprio essere in prima persona e in aderenza con la situazione reale. Una sorta di rispecchiamento, di risonanza intima che accolga uno stato d’essere presente in costante collegamento e consonanza fra sé, il proprio strumento e la musica.

Bibliografia

AAVV, Neurofenomenologia. La scienza della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, a cura di M. Cappuccio, Bruno Mondadori, Milano, 2006

AAVV, Il sapere dei sentimenti. Fenomenologia e senso dell’esperienza, a cura di V. Iori, Franco Angeli, Milano, 2009

Boella L., Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Raffaello Cortina, Milano, 2006

Boella L.,Buttarelli A., Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina, Milano, 2000

Clarke E., Processi cognitivi nell’esecuzione musicale, in Enciclopedia della Musica, Il sapere musicale, Einaudi, Torino, 2002

Delalande F., Le condotte musicali, tr. it. Clueb, Bologna, 1993

Giannelli M.T., Comunicare in modo etico, Raffaello Cortina, Milano, 2006

Iavarone M.L., Educare al benessere, Bruno Mondadori, Milano 2008

Mortari L., Aver cura di sé, Bruno Mondadori, Milano 2009

Mortari L., A scuola di libertà, Raffaello Cortina, Milano 2008

Mortari L., Ricercare e riflettere. La formazione del docente professionista, Carocci, Roma 2009

Schön D., Akiva-Kabiri L., Vecchi T., Psicologia della musica, Carocci, Roma, 2007

Sclavi M., L’arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano, 2003

Stein E., Il problema dell’empatia, Edizioni Studium, Roma 2003

Sloboda J.A., Doti musicali e innatismo. In Enciclopedia della Musica, Il sapere musicale, Einaudi, Torino, 2002

Varela F.J., Un know-how per l’etica, tr. It. Laterza, Roma, 1992

Sitografia

Scritti e video musicali dimostrativi sono presenti nel sito https://www.alessandraseggi.it

http://www.institutresseguier.com – http://vimeo.com/user4256240


[1] Il Metodo Rességuier è un metodo finalizzato all’ottimizzazione pratica dell’attitudine, che il singolo individuo assume, sia durante la performance, artistica o professionale, che nella relazione con l’altro. Il Metodo è stato creato da Jean Paul Rességuier kinesiterapeuta, francese, studioso di osteopatia, Metodo Mézières, medicina e filosofia cinese che nel 1985 stabilisce le basi della Riabilitazione Integrata che oggi porta il suo nome, e comincia ad insegnarlo in Europa e Sudamerica. Le peculiarità del Metodo sono oggi applicate in ambito riabilitativo, ginecologico/ ostetrico e psico-socio-educativo. All’interno di quest’ultimo ambito s’inseriscono le specificità del metodo applicato alla performance musicale.

[2] Alessandra Seggi insegna Pedagogia della Musica presso il Conservatorio Statale di Musica di Cagliari, ha completato la formazione di “Praticien de la Réhabilitation Intégré selon la Méthode Rességuier” e dal 2007 lavora con musicisti nell’applicazione del MR alla performance musicale.

[3] Boella, 2006, p.31.

[4] Mortari, 2009, pg 13

[5] La caratteristica principale del MR è la relazione che si stabilisce tra docente e studente basata su una continua attenzione che attualizza la relazione stessa. Quest’ attitudine dell’insegnante s’impara con un percorso specifico durante i corsi di formazione. Gli strumenti del MR sono: il sostegno attraverso il quale l’insegnante mantiene lo stato di attenzione sulla situazione del momento, il contatto verbale che permette un monitoraggio attraverso domande specifiche sulle modulazioni degli stati fisici e delle dinamiche percettive, risvegliando uno stato di consapevolezza sulle diverse parti del corpo anche riguardo al contatto con lo strumento, quando possibile il contatto manuale utilizzato anche durante lo svolgimento della Petite gymnastique strumento fondamentale che consiste in una serie di esercizi che partendo dall’asse dinamico verticale, considerandolo anatomicamente come torace e addome, permettono un’intensificazione della relazione tanto da attivare una percezione multisensoriale che coinvolge l’essere nella sua totalità.

[6] Boella, Buttarelli, 2000, pg71

[7] Rességuier, www.institutresseguier.com

[8] Sclavi, 2003, pg 136

[9] Varela, 1992, pg. 22